Gli adolescenti post-Covid

Combattere i mostri del disagio durante il Covid di Maurizio Maruccio

La diffusione del Covid e le fasi di lockdown hanno accentuato preoccupazioni e ansie sociali che si sono inevitabilmente ripercosse anche sui più giovani. Molti adolescenti vorrebbero raccontarsi, comunicare le proprie paure, fragilità, ma spesso si imbattono contro un muro di indifferenza e finiscono con l’attuare comportamenti pericolosi e dannosi anche per la loro salute. Preghiera, condivisione e amore sono una risposta molto efficace per curare molti mali di questo tempo. 

 

Un fenomeno in crescita

In una sera di maggio mi ritrovo a seguire, su una rete nazionale, un’inchiesta giornalistica che parla del disagio degli adolescenti in questo drammatico periodo di pandemia.

Intervistato, il primario di neuropsichiatria infantile Fondazione Mondino, Renato Borgatti, afferma che il lockdown ha creato ansia sociale che si è ripercossa inevitabilmente sui ragazzi, e di essere preoccupato perché, in un anno, sono triplicati i ricoveri in reparto per tentati suicidi, autolesionismo, disturbi del sonno e disturbi dell’alimentazione. Preoccupante, continua il medico, è anche l’abbassamento dell’età dei ricoverati (dai 10 anni in su) e l’assenza di consapevolezza del loro disagio da parte dei genitori.

Martina (nome di fantasia), 14 anni, ricoverata nel reparto, mostra un disegno che ha fatto: una ragazza colorata in grigio è aggredita alle spalle da mostri tutti colorati. Lo sconcertante commento della ragazza è: «Quella figura in grigio sono io; i mostri sono le mie paure, le mie ansie, le mie sofferenze e i dolori che prendono colore. Ora sono loro a vivere, non io».

Martina aggiunge: «Io sono sola in mezzo agli altri, anonima. Se volessi parlarne in casa, non è possibile: il compagno di mia madre ha perso il lavoro durante il lockdown e trascorre tutto il giorno davanti alla tv; mia madre, quando rientra a casa, litiga in continuazione con lui. Non volevo stare in quella gabbia di matti e così mi sono fatta del male per uscire da lì».

Poi è Simona a parlare, 15 anni: «Faccio una scuola che non mi piace, i miei non lo capiscono e a loro non importa ciò che penso io. Mi sento invisibile in mezzo a tutti, così ho cominciato a vomitare il cibo che ingerivo».

Il giornalista le chiede: «Cosa è per te la vita?». La sua risposta è quella di chi è ha perso ogni entusiasmo: «Boh!».

 

Sentirsi invisibili

Giulia «Nessuno mi vede, nessuno mi ascolta! Ho chiesto aiuto ai miei genitori ma non mi vogliono ascoltare. L’unica che mi ascoltava era mia nonna ma se l’è portata via il Covid».

Alla riflessione di Giulia fa eco quella di Federico: «Vado a scuola, mi alleno in piscina ma mi sento un fantasma! Ho immaginato che si parlasse di me, dopo la mia morte, come la promessa del nuoto che non c’è più… Ci ho provato ingerendo una serie di psicofarmaci».

Esiste anche una speculazione sulla sofferenza di questi giovani, in quanto gli psicofarmaci che dovrebbero essere prescritti dal medico specialista, sono acquistabili a basso costo, raggirando le leggi, su internet o procurandosi ricettari medici falsi. Dunque, molti ragazzi arrivano a commettere un reato non sempre consciamente. 

Una psicologa che segue da vicino il disagio, accogliendo le richieste di aiuto per mezzo dei social e tramite numeri dedicati, asserisce che i contatti ricevuti nei primi tre mesi dell’anno rappresentano già oltre la metà di quelli di tutto il 2020. Stiamo assistendo a un fenomeno drammatico del nostro tempo, in cui molti giovani non vengono ascoltati proprio dalla famiglia, che dovrebbe essere luogo per eccellenza di ascolto e comprensione.

La dottoressa spiega che i gesti di autolesionismo a cui spesso ricorrono i giovani per chiedere aiuto, ci lanciano un messaggio chiaro: «Io soffro, mi faccio male affinché tu mi ascolti. Meglio soffrire nel corpo che soffrire nell’anima». Aggiunge che sono fortemente suggestionati dalle canzoni di alcuni trapper che istigano esplicitamente a queste forme di autolesionismo.

Il messaggio più straziante lo lancia Giulio, appena diciassettenne, nella sua intervista: «Ho cominciato a bere per spegnere la mia solitudine, poi sono arrivato a tagliarmi per punirmi della mia inutilità». Sollecitato dal giornalista che gli ha chiesto cosa rappresentassero quelle cicatrici sul braccio, Giulio risponde: «Guardo le mie cicatrici, guardo a ciò che è successo, a come sono e nessuno può toglierlo dalla mia mente».

Aggiunge poi Giulio: «Ho cominciato a vedere la luce in fondo al tunnel quando il medico mi ha guardato negli occhi e mi ha chiamato per nome. Nessuno lo aveva mai fatto prima».

 

Incontro, ascolto e condivisione 

La sensibilità del giornalista ha portato a fare una domanda al primario intervistato: «Come possiamo aiutare questa generazione di ragazzi?». «Condividendo il dolore si guarisce l’anima!», è stata la risposta ottenuta. Non possiamo rimanere sordi al grido di dolore lanciato da questi giovani.

Come fedeli praticanti che si sforzano di essere “samaritani”, come possiamo soccorrere, confortare chi sta vivendo queste atroci sofferenze dell’anima? Cosa possiamo fare noi, che crediamo che il nostro Salvatore vinca anche sulle ferite più profonde della psiche, per i nostri giovani, speranza e promessa per il futuro?

Non possiamo sostituirci alla scienza medica ma dovremmo, forse, ripensare la nostra pastorale, rivedere le nostri prassi che racchiudono tutti dentro a grandi categorie: giovani, famiglie, scuola, sport ecc. È urgente far uscire ogni persona dall’”anonimato delle categorie” e accoglierla nella sua essenza e unicità. Martina, Simona, Giulia, Federico, Giulio, ci insegnano che hanno cominciato a vedere la luce quando qualcuno li ha chiamati per nome, li ha ascoltati e amati.

Il grido dei giovani di oggi è forte: non essere considerati elementi di una particolare aggregazione sociale (famiglia, classe, squadra sportiva) ma nel loro essere unici.

I mostri colorati di Martina, le cicatrici di Giulio, ci dovrebbero far guardare alla singola persona e non a una massa anonima, favorendo incontri face-to-face che permettano di ascoltare con il cuore, accogliere l’altro nella sua unicità e pregare affinché il buon Medico delle anime possa guarire le loro ferite!

 

“114”: Parliamone!

A cura di Daniela Di Domenico

Durante la pandemia, tra febbraio 2020 e febbraio 2021, è stato registrato un aumento del 32% delle richieste legate alla salute mentale (come gli atti di autolesionismo e i tentativi di suicidio) pervenute al “Servizio 114” Emergenza infanzia promosso dal Dipartimento per le Politiche della famiglia e gestito da Telefono Azzurro. Un recente studio (Orgilés et al. 2021) che ha coinvolto genitori di bambini e adolescenti in Italia, Spagna e Portogallo ha inoltre evidenziato che il 19% dei bambini e il 38% degli adolescenti mostrano sintomi di ansia e depressione con un netto incremento di questi livelli rispetto a quelli riportati in altri studi condotti negli stessi Paesi nel periodo pre-Covid.

Lo stato di salute mentale della popolazione, in special modo dei minori, è stato gravemente minato dalla crisi pandemica e dalle misure restrittive; su tutte, per i più piccoli, la didattica a distanza. Diversi studi internazionali, condotti in molti Paesi come Spagna, Portogallo, o Svezia sono concordi nell’evidenziare che la situazione stressante legata al Covid-19 ha fatto emergere paure e frustrazioni influenzando negativamente l’equilibro e la stabilità mentale dei minori

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