Di Francesca Cipolloni
Verrà celebrata il 6 febbraio 2022 la 44^ Giornata Nazionale per la Vita e, nel Messaggio della Conferenza Episcopale Italiana sul tema “Custodire ogni vita”, una particolare attenzione è posta sulle situazioni di fragilità nel tempo di pandemia.
«Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perchè lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15). È questo il versetto biblico da cui trae spunto il Messaggio della Conferenza Episcopale Italiana per la 44^ Giornata Nazionale per la Vita, che si celebrerà il prossimo 6 febbraio 2022. “Custodire ogni vita”, questo il titolo del documento che, inevitabilmente, “nasce” nel solco del delicato periodo che stiamo attraversando, stravolto dal Covid-19. «Al di là di ogni illusione di onnipotenza e autosufficienza – si legge infatti nell’incipit -, la pandemia ha messo in luce numerose fragilità a livello personale, comunitario e sociale. Non si è trattato quasi mai di fenomeni nuovi; ne emerge però con rinnovata consapevolezza l’evidenza che la vita ha bisogno di essere custodita. Abbiamo capito che nessuno può bastare a sé stesso: “La lezione della recente pandemia, se vogliamo essere onesti, è la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme” (Papa Francesco, Omelia, 20 ottobre 2020). Ciascuno ha bisogno che qualcun altro si prenda cura di lui, che custodisca la sua vita dal male, dal bisogno, dalla solitudine, dalla disperazione. Questo è vero per tutti, ma riguarda in maniera particolare le categorie più deboli, che nella pandemia hanno sofferto di più e che porteranno più a lungo di altre il peso delle conseguenze che tale fenomeno sta comportando». Il pensiero del Consiglio Permamente va anzitutto «alle nuove generazioni e agli anziani». Le prime, «pur risultando tra quelle meno colpite dal virus, hanno subito importanti contraccolpi psicologici, con l’aumento esponenziale di diversi disturbi della crescita; molti adolescenti e giovani, inoltre, non riescono tuttora a guardare con fiducia al proprio futuro. Anche le giovani famiglie hanno avuto ripercussioni negative dalla crisi pandemica, come dimostra l’ulteriore picco della denatalità raggiunto nel 2020-2021, segno evidente di crescente incertezza». Quindi, un riferimento alle persone in avanzato stato di età, vittime in gran numero del coronavirus. Molte di esse «si trovano ancora oggi in una condizione di solitudine e paura, faticando a ritrovare motivazioni ed energie per uscire di casa e ristabilire relazioni aperte con gli altri. Quelle poi che vivono una situazione di infermità subiscono un isolamento anche maggiore, nel quale diventa più difficile affrontare con serenità la vecchiaia. Nelle strutture residenziali le precauzioni adottate per preservare gli ospiti dal contagio hanno comportato notevoli limitazioni alle relazioni, che solo ora si vanno progressivamente ripristinando».
Uno “sguardo” alle «fragilità sociali» in tempo di pandemia
Nel Messaggio, inoltre, non manca un’attenzione particolare anche alle cosiddette «fragilità sociali» che «sono state acuite, con l’aumento delle famiglie – specialmente giovani e numerose – in situazione di povertà assoluta, della disoccupazione e del precariato, della conflittualità domestica. Il Rapporto 2021 di Caritas italiana ha rilevato
quasi mezzo milione di nuovi poveri, tra cui emergono donne e giovani, e la presenza di inedite forme di disagio, non tutte legate a fattori economici». Se poi il nostro sguardo si allarga, proseguono i Vescovi, «non possiamo fare a meno di notare che, come sempre accade, le conseguenze della pandemia sono ancora più gravi nei popoli poveri, ancora assai lontani dal livello di profilassi raggiunto nei Paesi ricchi grazie alla vaccinazione di massa». Una situazione che ovviamente non ha lasciato indifferente Papa Francesco, che a tal proposito ha suggerito San Giuseppe come «modello di coloro che si impegnano nel custodire la vita»: difatti, «nelle diverse circostanze della sua vicenda familiare, egli costantemente e in molti modi si prende cura delle persone che ha intorno, in obbedienza al volere di Dio. Pur rimanendo nell’ombra, svolge un’azione decisiva nella storia della salvezza, tanto da essere invocato come custode e patrono della Chiesa». Quindi, un nuovo rimando alla crisi pandemica, a paritre dai primi giorni di emergenza sanitaria in cui «moltissime persone si sono impegnate a custodire ogni vita, sia nell’esercizio della professione, sia nelle diverse espressioni del volontariato, sia nelle forme semplici del vicinato solidale. Alcuni hanno pagato un prezzo molto alto per la loro generosa dedizione. A tutti va la nostra gratitudine e il nostro incoraggiamento: sono loro la parte migliore della Chiesa e del Paese; a loro è legata la speranza di una ripartenza che ci renda davvero migliori». Purtroppo però, precisa il Consiglio Permanente della CEI, «non sono mancate manifestazioni di egoismo, indifferenza e irresponsabilità, caratterizzate spesso da una malintesa affermazione di libertà e da una distorta concezione dei diritti. Molto spesso si è trattato di persone comprensibilmente impaurite e confuse, anch’esse in fondo vittime della pandemia; in altri casi, però, tali comportamenti e discorsi hanno espresso una visione della persona umana e dei rapporti sociali assai lontana dal Vangelo e dallo spirito della Costituzione. Anche la riaffermazione del “diritto all’aborto” e la prospettiva di un referendum per depenalizzare l’omicidio del consenziente vanno nella medesima direzione».
Nella «custodia» il cuore del nostro agire
«La risposta che ogni vita fragile silenziosamente sollecita è quella della custodia. Come comunità cristiana facciamo continuamente l’esperienza che quando una persona è accolta, accompagnata, sostenuta, incoraggiata, ogni problema può essere superato o comunque fronteggiato con coraggio e speranza». Approfondendo ulteriormente il testo del Messaggio, si evince come il valore della vita sia nobilitato in ogni suo aspetto e trova nelle parole del Santo Padre – pronunciate in un’omelia del 19 marzo 2013 – una ulteriore “bussola” interpretativa: «Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene». Chiarissimo, pertanto, l’impegno chiesto alle «persone, famiglie, comunità e istituzioni», affinchè «non si sottraggano a questo compito, imboccando ipocrite scorciatoie, ma si impegnino sempre più seriamente a custodire ogni vita. Potremo così affermare che la lezione della pandemia non sarà andata sprecata».
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