Padre Raniero Cantalamessa rilegge i brani della Pentecoste alla luce della realtà del Rinnovamento. Al centro, lo Spirito Santo e la sua azione rigenerante; il battesimo nello spirito, grazia specifica del Movimento e suo contributo all’evangelizzazione. L’intervento, dettato a una Convocazione nazionale RnS, parte dall’assunto: «Chi non rinasce dall’acqua e dallo Spirito non può entrare nel regno di Dio» (cf Gv 3, 5).
Una presa di coscienza
Devo confidare a voi che mi siete così cari, che il Signore è venuto una terza volta nella mia vita; la prima volta fu quando mi chiamò alla vita religiosa, la seconda quando mi diede l’effusione dello Spirito producendo così una grande svolta, e l’ultima due anni fa, quando mi ha chiamato a ritirarmi, nei periodi in cui non sono a predicare, in un eremo: un antico convento dei frati Cappuccini, con tre monache di clausura con le quali facciamo vita contemplativa.
«Chi non rinasce dall’acqua e dallo Spirito non può entrare nel regno di Dio» (cf Gv 3, 5), dice Giovanni. È caratteristica della sua teologia definire l’esistenza cristiana come una nuova nascita, una nascita dall’alto, una nascita da Dio, come è tipico della teologia di Paolo accostare l’esistenza cristiana alla metafora della nuova creazione. A volte questa rinascita dall’alto, dallo Spirito, è attribuita alla fede. Per esempio, quando Giovanni dice che «a quelli che l’hanno accolto ha dato il diritto di diventare figli di Dio, cioè a quelli che credono nel suo nome, i quali non da volontà di carne ma da Dio sono nati» (cf Gv 1, 12-13). Altre volte questa rinascita è attribuita al sacramento: chi non rinasce dall’alto e dallo Spirito, cioè attraverso il battesimo, non può entrare nel regno di Dio. Ma si tratta dello stesso evento che ora è visto dalla parte dell’uomo che accetta la grazia, la fede, ora dalla parte di Dio che dà la grazia, il sacramento. Quale la relazione che c’è tra la rinascita dall’alto e il battesimo nello Spirito o effusione dello Spirito che si pratica nel Rinnovamento? A san Paolo risale l’espressione «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4, 5), che la Chiesa ha introdotto nel Credo nel quale, infatti, si dichiara: «Professo un solo battesimo». E questo perché c’erano degli eretici che sostenevano occorresse ribattezzarsi quando si tornava nella Chiesa dopo un’eresia oppure dopo aver commesso particolari peccati. La Chiesa, invece, ha stabilito che c’è un solo battesimo. Questo vuol dire che il nostro battesimo nello Spirito non è una rinascita nello Spirito, ma è un rinnovamento, una presa di coscienza, un’attivazione della nascita battesimale, una scoperta delle possibilità che erano nascoste in quella rinascita e che forse noi non abbiamo mai sperimentato.
Nella mia opinione, una spiegazione teologica della grazia tipica del Rinnovamento che chiamiamo “battesimo nello Spirito” è quella che fa leva sul concetto del sacramento “legato” o “congelato”: un sacramento, cioè, che si riceve ma che incontra un impedimento alla grazia. Una volta che si rimuove l’ostacolo, però, il sacramento torna a rivivere, rifiorisce, senza bisogno di essere ripetuto, ricelebrato. Esempi classici sono il matrimonio o l’ordinazione sacerdotale ricevuti in stato di peccato mortale (purtroppo ci sono anche questi casi). Evidentemente in quella situazione il sacramento del matrimonio e dell’ordinazione non possono dare nessuna grazia di stato perché c’è l’impedimento dato dal peccato. Una volta però che ci si è pentiti e confessati, cioè, una volta l’ostacolo, non occorre ripetere il sacramento del matrimonio perché esso torna a vivere.
La grazia specifica del Rinnovamento
È chiaro che nel nostro caso l’ostacolo non è il peccato. Cosa impedisce al battesimo di esprimere tutte le sue potenzialità tra i cristiani? La mancanza di una presa di coscienza personale, di una adesione personale. Nel battesimo infatti ci fu domandato: «Credi in Gesù Cristo?». E qualcuno, il padrino o il genitore, rispose per noi: «Credo». «Vuoi essere battezzato?». E altri, a meno che non abbiano ricevuto il battesimo da adulti, risposero: «Lo voglio». Arriva il momento nella vita in cui bisogna personalmente dire quel “sì”, “credo”, “io accetto Gesù”. Ed ecco che il battesimo rifiorisce. Ed è proprio quello che avviene nel battesimo nello Spirito. Un esempio forse più alla portata di tutti: ognuno ha fatto l’esperienza di una mano o di un piede addormentati, magari a causa della posizione assunta; poiché per un po’ di tempo non si è mosso, quel membro del corpo finisce per atrofizzarsi e se ne perde la sensibilità, in quanto non vi scorre più il sangue. Lo stesso avviene nell’organismo del Corpo di Cristo. Quando un membro rimane per troppo tempo inutilizzato, immobile, la circolazione dello Spirito non avviene più. Io dico che la debolezza della Chiesa dipende dal fatto che ha troppi piedi e troppe mani addormentate. Il battesimo o effusione dello Spirito è la grazia propria del Rinnovamento. Esso è anche il nostro contributo specifico all’evangelizzazione, e dico “il nostro” perché io mi sento uno di voi, popolo del Rinnovamento, mi sento a casa mia, voi siete la mia famiglia. Tutti i movimenti prendono parte a questo sforzo della Chiesa all’evangelizzazione, ognuno con il suo carisma. Per noi lo strumento più efficace si è rivelato essere proprio il battesimo nello Spirito. Con i Seminari di vita nuova i cristiani vengono messi in contatto con le verità fondamentali della fede; poi con la preghiera di effusione si fa l’esperienza dello Spirito e molti, da cristiani nominali diventano cristiani reali. Guai se il Rinnovamento nello Spirito trascurasse questa grazia!
In molte parti del mondo si nota un calo di entusiasmo, una diminuzione nella capacità di attrarre i giovani nel Rinnovamento. Sono reduce da diversi incontri sia nella patria del mio amico Ralph Martin, negli Stati Uniti, che in Canada, e devo ammettere che, almeno apparentemente, c’è un certo calo. Notiamo però che la forza dello Spirito non è diminuita di un atomo, il braccio del Signore non si è accorciato e ogni volta che si prepara la gente all’Effusione si manifestano le stesse cose, si vivono le stesse esperienze forti di quando l’abbiamo ricevuta noi, trenta o quaranta anni fa. Lo Spirito è ancora forte come agli inizi, anche se noi non sempre ne seguiamo il passo.
Pentecoste: il battesimo nello Spirito
L’espressione “battesimo nello Spirito” non è stata inventata dal Rinnovamento carismatico e nemmeno dal movimento Pentecostale che l’ha preceduto. L’ha inventata Gesù, il quale disse: «Giovanni ha battezzato in acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni» (At 1, 5). Ora, quello che non sempre si rileva è che Gesù non solo usa l’espressione “battezzare nello Spirito” ma dice anche in che consiste: «voi sarete battezzati nello Spirito fra non molti giorni». Cosa successe di lì a pochi giorni? La Pentecoste! E il battesimo nello Spirito, nell’intenzione di Gesù, è proprio la Pentecoste. Per questo, entrati nella novena di Pentecoste, ripercorriamo alcune tappe del racconto di Pentecoste alla luce dell’esperienza nel Rinnovamento nello Spirito e leggiamo il Rinnovamento nello Spirito alla luce di quello che successe a Pentecoste. Perché lo Spirito è sempre lo stesso! È sempre Pentecoste! Oggi deve essere Pentecoste!
PRIMA PARTE – «E tutti furono pieni di Spirito Santo»
Una travolgente esperienza di amore
Si legge negli Atti degli apostoli: «Quando il giorno di Pentecoste giunse, tutti erano insieme nello stesso luogo. Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di un vento impetuoso che soffia e riempì tutta la casa dove si trovavano» (cf At 2, 1-2). Là il cenacolo era piccolo, nella Convocazione di Rimini il cenacolo è più grande ma lo Spirito non ha problemi di numero. Come il sole illumina una sola persona e miliardi di uomini che sono sulla terra, così lo Spirito Santo è per tutti, nessuno escluso. «Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e se ne posò una su ciascuno di loro. E tutti furono pieni di Spirito Santo» (vv. 3-4a). Qui bisogna fare una lunga pausa che dovrebbe essere contrassegnata dal punto; nelle Bibbie invece questo passo, senza né virgola né punto, continua: «e cominciarono a parlare in altre lingue», aprendo così al rischio di pensare che il fatto di essere pieni di Spirito consista nel parlare in altre lingue, mentre quella è solo una delle manifestazioni, di cui si parlerà nella sezione seguente. Cosa vuol dire l’espressione: «tutti furono pieni di Spirito Santo?». Bisogna gettare uno sguardo in questo abisso per capire, e domandarsi: di cosa furono pieni? Che cos’è lo Spirito Santo? Lo Spirito Santo, per quello che possiamo dire, è l’amore personale che scorre tra il Padre e il Figlio, è una fornace, una fiamma, che possiamo chiamare anche felicità, beatitudine, vita, luce. La parola per noi più significativa è amore: lo Spirito Santo è l’amore personificato. Dire che tutti furono pieni di Spirito Santo vuol dire allora che tutti furono pieni dell’amore di Dio. Fecero un’esperienza travolgente di essere amati da Dio: questa è la Pentecoste.
Compimento finale della salvezza
La Pentecoste non è dunque un’appendice alla salvezza, ma ne è piuttosto il compimento finale. Dio aveva creato il mondo per partecipare il suo amore alle sue creature, ma il peccato aveva bloccato questo piano di Dio, il quale, così, inventa un lungo cammino di preparazione (ecco la Bibbia): manda il suo Figlio che toglie l’ostacolo, la barriera del peccato, per mezzo della sua morte; rinnova la vita con la risurrezione, e finalmente l’umanità è pronta per ricevere quello che Dio da sempre voleva dare all’uomo: il coinvolgimento, l’immersione in questa beatitudine, in questo amore eterno di Dio stesso. Paolo lo dice chiaramente descrivendo così la Pentecoste: «L’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato donato» (Tt 3, 5-6). E l’esperienza lo conferma. Uno tra coloro che assistettero al primo ritiro carismatico diede testimonianza dicendo: «A un certo punto avemmo paura di non reggere all’eccessivo amore di Dio che era entrato dentro di noi e dentro la cappella, tanto era forte questo sentimento». Del resto gli apostoli sono la prova di questa potenza. Dal momento in cui lo Spirito scende su di loro, li vediamo cambiati, trasformati, il cuore nuovo è già in funzione. E che cosa ha prodotto tutto questo? Che cosa nella vita umana produce i grandi cambiamenti? L’amore. Quando ci si innamora si è capaci di far cose grandi. E così successe agli apostoli.
Sobria ebbrezza dello Spirito
C’è un frutto di questa esperienza dell’amore di Dio che va sottolineato – perché è il Rinnovamento che lo ha riportato alla luce – ed è la parola “esperienza”. Una delle cose che impressionano di più del Rinnovamento e del fenomeno Pentecostale, e che talvolta scandalizzano gli osservatori esterni, è il modo in cui questa esperienza interiore dell’amore di Dio trasforma, si manifesta all’esterno attraverso mani alzate, occhi chiusi, volti estatici, parlare in lingue. Devo confessare che anche io all’inizio facevo un po’ di difficoltà ad accettare queste manifestazioni esteriori. Si sa che la parola “entusiasmo” non gode buona fama presso gli storici, perché l’entusiasmo facilmente suggerisce esaltazione, fenomeni eccessivi. Ma c’è entusiasmo ed entusiasmo. Questo tipo di entusiasmo, quello di Pentecoste, si chiama con un nome speciale: “sobria ebbrezza dello Spirito”, che è radicalmente un’altra cosa rispetto a una passeggera esaltazione. Pietro quel giorno disse: «Questi ubriachi non sono ubriachi di mosto» (cf At 2, 15), e c’è ancora chi questa parola di Pietro sogna di ripeterla: questi uomini non sono ubriachi! San Cirillo di Gerusalemme commentando dice: «Sì, sono ubriachi, ma di quella sobria ebbrezza che fa morire i peccati e vivifica il cuore». È il momento di ricordare che nel 1995, quando papa Paolo VI ricevette ufficialmente il Rinnovamento per la prima volta, dopo la lettura del discorso che aveva preparato, aggiunse un riferimento alla Liturgia del giorno. Nella Liturgia delle Ore del 4 giugno l’inno di sant’Ambrogio termina con questa frase: «Laeti bibamus sobriam profusionem spiritus, beviamo con gioia l’abbondanza sobria dello Spirito». E Paolo VI disse: «Questo potrebbe essere il vostro motto. Beviamo con gioia dall’abbondanza sobria dello Spirito e facciamo che questo motto rimanga vivo in mezzo a noi».
Ingresso nel fuoco della vita divina
La Pentecoste è il momento in cui il cuore di pietra va in frantumi, e nasce un cuore nuovo. È proprio qui uno degli apporti dati dal Rinnovamento anche a livello teologico: fare riscoprire che la vita cristiana non è fatta solo di concetti, di definizioni, di sillogismi, ma è fatta di un’esperienza di Dio, è fatta anche di un “sentire”. È vero, nel battesimo diventiamo figli di Dio, membri del Corpo di Cristo, tempio della Trinità, ma normalmente la gente pensa che tutte queste cose si fermino a livello inconscio, dunque le crede ma non le vive. Il Rinnovamento invece ha riportato alla luce quella che era un’esperienza della Chiesa antica e che è tuttora propria della Chiesa ortodossa, in maniera abbastanza forte, cioè che la vita cristiana non è esauribile in parole e concetti, ma è l’esperienza di entrare nel fuoco della vita divina. I concetti vengono dopo. Quest’apporto del Rinnovamento carismatico ha molto interessato i teologi; il movimento, la realtà ecclesiale post sinodale che ha suscitato più interesse in loro e al quale hanno dedicato dei capitoli interi nei libri sullo Spirito Santo, è proprio il Rinnovamento carismatico. Il grande teologo Carlo Rahner, che non era ufficialmente un membro del Rinnovamento, ha scritto: «Non possiamo contestare che l’uomo possa fare quaggiù delle esperienze di grazia le quali gli danno un senso di liberazione, gli aprono orizzonti del tutto nuovi, s’imprimono profondamente in lui, lo trasformano, plasmando anche per lungo tempo il suo atteggiamento cristiano più intimo». E ha concluso: «Nulla vieta di chiamare tali esperienze “battesimo nello Spirito”».
SECONDA PARTE – «Questo è quanto fu annunziato per mezzo del profeta Gioele»
Azione carismatica e azione santificatrice
Quando noi commentiamo il racconto di Pentecoste, lo scopo non è quello di sapere esclusivamente ciò che successe quel giorno, ma è di accogliere quanto oggi deve succedere. Accade nella Messa: il sacerdote fa un racconto dei gesti di Gesù nell’ultima cena – «prese il pane, lo spezzò, lo diede ai discepoli» (cf Lc 22, 19) – ma sappiamo che questo racconto, in quel momento, diventa realtà; quello che avvenne duemila anni fa, avviene di nuovo: il pane diventa il Corpo di Cristo, il vino il suo sangue. Quando leggiamo il racconto di Pentecoste dovrebbe succedere qualcosa di analogo, non di identico, cioè che quello che successe quel giorno succeda di nuovo. Gesù lo vuole, e se lo vogliamo anche noi non c’è nessun ostacolo perché quello che è successo agli apostoli accada anche a noi. Continua Pietro: «Questi uomini non sono ubriachi come voi supponete perché è soltanto la terza ora del giorno. Ma questo è quanto fu annunziato per mezzo del profeta Gioele, avverrà negli ultimi giorni, dice il Signore, che io spanderò il mio spirito sopra ogni persona, i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri giovani avranno delle visioni, i vostri vecchi sogneranno dei sogni. Anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni spanderò il mio spirito. Ed essi profetizzeranno» (cf At 2, 14-18). Di questa profezia di Gioele noi siamo i testimoni, quella profezia si è realizzata con Gesù. Il testo biblico menziona una serie di carismi: “profezia”, “visioni”, “sogni”, “miracoli”, “segni”. E questo ci offre di nuovo l’occasione per gettare un fascio di luce sulla grazia del Rinnovamento. Per capire l’azione dello Spirito Santo bisogna tenere conto di un dato fondamentale nella Bibbia, cioè che lo Spirito Santo agisce in due modi diversi. Un modo si chiama “carismatico” e l’altro si chiama “santificante”. L’attività carismatica dello Spirito Santo consiste nel dare ad alcune persone dei doni particolari, non per loro ma per l’edificazione della comunità. A Sansone, ad esempio, viene dato il dono della forza, ad alcuni viene dato il dono della profezia, ma non necessariamente questi doni rendono più santi; Salomone aveva tanti carismi di sapienza e non era certo uno stinco di santo! Più tardi invece comincia a delinearsi un’azione dello Spirito più intima, più interiore, che si chiamerà “azione santificatrice”. La differenza è che qui lo Spirito Santo viene sulla persona e rimane in lei, la trasforma dall’interno, le dà un cuore nuovo, uno spirito nuovo.
Nel Nuovo Testamento questa duplice azione dello Spirito Santo è evidentissima. San Paolo prima parla della lista dei carismi, (cf I Cor 12), poi parla della carità, comune a tutti, che non è altro che un sinonimo della grazia santificante, quindi dell’azione santificatrice dello Spirito. Questo duplice modo di agire dello Spirito si riproduce nel Rinnovamento carismatico e dobbiamo tenerne conto. L’azione santificatrice dello Spirito è evidente nel momento in cui noi sperimentiamo:
- l’amore di Dio dentro di noi,
- l’unzione dello Spirito Santo nella preghiera,
- il gusto della lode, il gusto di proclamare Gesù Signore, così evidente nel popolo del Rinnovamento.
Una importante sinergia
Nel Rinnovamento carismatico certamente sono presenti tutti i carismi, il nome stesso lo dice. Questi due modi di agire dello Spirito non sempre si coordinano in modo armonioso, ed ecco che nel Rinnovamento, come del resto tra i nostri fratelli pentecostali, emergono delle frizioni perché alcuni accentuano di più l’azione santificatrice, quindi danno importanza alla preghiera, ai sacramenti, all’acquisto delle virtù, mentre altri sottolineano di più l’azione carismatica, l’esercizio dei carismi, accentuando, in qualche caso particolare, il carisma di guarigione. Il primo atteggiamento da tenere presente è quello della tolleranza, di accettare che altri abbiano doni diversi dai nostri. Certamente però l’ideale è tenere uniti questi due aspetti, senza dividerli o contrapporli. Il Concilio vaticano II ha affermato che l’azione sacramentale e l’azione carismatica devono essere i due polmoni della Chiesa. Per molto tempo uno dei polmoni è stato abbastanza atrofizzato ma adesso entrambi sono di nuovo in attività e il Rinnovamento deve mostrare questa sinergia tra le due azioni dello Spirito.
Alcune questioni morali
Se non c’è dubbio che queste due azioni siano ugualmente importanti, ricordiamo però che la priorità spetta all’azione interiore, alla trasformazione del cuore. Al Rinnovamento si accostano persone reduci dalle più diverse esperienze di vita e tra queste situazioni oggi si propone sempre più spesso quella di matrimoni distrutti e di separazioni legali. Come comportarsi con i fratelli e le sorelle che vivono questa condizione e che cercano l’aiuto della Chiesa nel Rinnovamento carismatico? Bisogna fare una distinzione. Se la rottura è avvenuta nel passato, quando non si conosceva ancora il Signore, per colpa propria o senza colpa propria e non è più possibile tornare indietro perché c’è una situazione nuova, magari con dei figli sopraggiunti nel frattempo, nulla vieta di accogliere queste persone nei gruppi di preghiera e di fare anche su di loro la preghiera di effusione. La Chiesa ha spesso ribadito che questa situazione impedisce l’accesso all’Eucaristia ma non alla preghiera; non essendo l’effusione dello Spirito un sacramento ma appunto una preghiera e un aiuto spirituale, nulla vieta, a mio parere, che dopo una buona confessione, accompagnata da sincero pentimento, si possa pregare su queste persone perché ricevano il dono dello Spirito. Diverso è il caso di situazioni in atto, cioè di sposi in crisi ma non ancora separati che, una volta conosciuto il Signore, con l’aiuto della grazia e della propria buona volontà, potrebbero ritrovare l’unità e la pace. A questo proposito io devo fare un ammonimento piuttosto austero. Non ci si prende gioco di Dio. Non si può cercare nel Rinnovamento un avallo e un modo di aggirare le esigenze della coscienza e della Chiesa. L’esperienza dimostra che la grazia dello Spirito Santo può risanare matrimoni morti e conferire loro uno splendore, una vitalità mai conosciuti prima. Io stesso, diverse volte, ho conosciuto casi meravigliosi in cui lo Spirito Santo ha rinnovato non solo i cuori ma anche il matrimonio. Bisogna però dare allo Spirito la libertà di farlo: a volte non si vuole che il matrimonio sia risanato perché magari il cuore si è già legato a un’altra persona e si è indurito. A queste persone bisogna negare la preghiera di effusione che farebbe più male che bene, dando loro la falsa sicurezza di essere a posto con la propria coscienza e con la Chiesa; bisogna sconsigliarli, pur sempre con grande carità, perché in quel caso l’effusione non servirebbe a nulla.
TERZA PARTE – «Voi lo avete crocifisso ma Dio l’ha risuscitato»
Il frutto più bello dello Spirito
Dopo aver risposto al dubbio di coloro che ritenevano gli apostoli “ubriachi di vino”, Pietro prosegue il suo discorso così: «Uomini di Israele, ascoltate queste parole» (At 2, 22). Qui c’è una nuova introduzione come se quello che aveva detto prima fosse un inciso. Adesso Pietro richiama all’ascolto. Non riesco mai ad arrivare a commentare questo punto senza sentire una commozione profonda. Cosa fa Pietro? Pronuncia un nome. Comincia il suo discorso gettando come una fiaccola ardente su quelle tremila persone un nome: «Gesù di Nazaret» (Ibid.). «Ve lo ricordate? – è il senso del discorso di Pietro. Ve lo ricordate quel Gesù che passava in mezzo a voi facendo del bene a tutti?» (cf Ibid.) Quando è sicuro che tutti hanno capito di chi sta parlando – perché a quel punto molti avevano dimenticato Gesù, lo avevano considerato un caso chiuso – Pietro lascia partire due tuoni. Con il primo li uccide tutti, con il secondo li risuscita: «Quando vi fu dato quest’uomo nelle mani per il determinato consiglio e la prescienza di Dio, voi, per mano di iniqui, inchiodandolo alla croce, lo avete ucciso» (cf v. 23). Quella gente avrebbe potuto protestare, dire: “Fermati Pietro, cosa stai dicendo? Noi non eravamo davanti a Pilato a gridare Crocifige”. E invece tacciono, anzi si dirà che «si sentirono trafiggere il cuore» (v. 37). Perché? Perché lo Spirito Santo stava facendo quello che aveva promesso Gesù: «Quando verrà il Paraclito convincerà il mondo di peccato» (cf Gv 16, 18). Quella gente venne convinta del peccato, toccata dal dito di fuoco dello Spirito. Benedetto quel momento in cui questo dito di fuoco tocca il cuore di qualcuno di noi o lo tocca di nuovo, perché allora sì che dalle nostre labbra esce la parola “ho peccato” in un modo nuovo, che rigenera. Voi lo avete crocifisso, dice dunque Pietro; lui è morto per i nostri peccati. Ma subito segue l’altro tuono, un altro terremoto: «Dio l’ha risuscitato. Non abbiate timore, Dio l’ha costituito vostro Signore» (cf v. 24). Il discorso di Pietro si conclude poi con quella definizione urbi et orbi per me straordinaria: «Sappia con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito quel Gesù che voi avete crocifisso, Signore e Messia» (cf v. 36).
La riscoperta di Gesù Signore
Quanti insegnamenti sono in questa parte del discorso di Pentecoste! Innanzitutto, che il primo frutto dello Spirito è un bisogno impellente di proclamare Gesù: adesso gli apostoli sanno chi è Gesù, adesso hanno capito che grazie a quello che aveva fatto, il mondo non era più lo stesso di prima, adesso sono pronti a morire per Gesù. Se questo è il cuore, il vertice della Pentecoste, cioè lo Spirito che rende vivo Gesù, che lo risuscita, cosa corrisponde nel Rinnovamento, grazie al battesimo nello Spirito, a questo vertice? La riscoperta di Gesù come Signore, che è uno dei frutti più belli dello Spirito. Sembra una cosa semplicissima, noi gridiamo: “Gesù è il Signore, Gesù è il Signore”, e non ci rendiamo conto che questo nostro sentire e gridare è stato una scoperta, un dono immenso dello Spirito. Io avevo studiato il titolo di “Signore”, avevo scritto sulla signoria di Cristo, ma quando ricevetti il battesimo nello Spirito mi accorsi che l’espressione “Gesù Signore” è un’altra cosa. Quando lo Spirito Santo scende come nel giorno di Pentecoste, ti sembra che fino ad allora hai visto un cielo dipinto sulla carta e adesso guardi il cielo vero, immenso, sopra di te. È uno dei grandi doni che il Rinnovamento ha fatto alla Chiesa, quello di riscoprire che la signoria di Cristo è un mondo nel quale si entra, grazie a delle scelte. Dire “Gesù è il Signore” non significa solo proclamare una verità dogmatica, significa prendere una decisione, significa confermare: “Tu sei il mio Signore, io mi sottometto a te, ti riconosco il centro, il senso, l’amore della mia vita, tutto”. Devo confessare – anche se noi sacerdoti saremmo tenuti al celibato – che anche io ho preso una cotta nella vita. È una cotta che auguro di prendere a tutti, anche agli sposati, perché se noi accettiamo Gesù per quello che è, il risorto, il vivo, che vive nello Spirito, Egli può essere per ciascuno di voi infinitamente più di quello che è il marito per la moglie, la moglie per il marito, il fidanzato per la fidanzata, l’amico per l’amico! Lui ricopre tutte le sfumature dell’amore! Ricordiamo di ripetere spesso un versetto della Lettera ai Romani che proclama la signoria di Gesù: «Se con le tue labbra tu proclami che Gesù è il Signore e nel cuore credi che Dio l’ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (Rm 10, 9). Bisogna imparare – ma il popolo del Rinnovamento lo sa già – queste due semplici frasi: “Gesù è il Signore” e “Dio l’ha risuscitato dai morti”. Io mi rivolgo a Gesù perché non solo sono convinto che lui è il Signore ma sento che è qui in mezzo a noi e ci sta guardando. La gioia di Gesù nel vedere che questo popolo riconosce il suo sacrificio e accetta il suo amore, è incredibile; questa gioia di Gesù, venendo alle Convocazioni del RnS, si sente, si palpa. Sappiamo che Dio sa contare solo fino a uno? E quell’uno sono io, sei tu, è ognuno di noi.
QUARTA PARTE – «E vivevano nella comunione fraterna»
Pentecoste, genetliaco della Chiesa
«Tutti quelli che accettarono la sua parola furono battezzati e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone. Ed erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Il Signore aggiungeva ogni giorno alla comunità, quelli che venivano salvati» (cf At 2, 42-48). L’insegnamento più importante di questa parte finale del racconto non è tanto come vive questa comunità, quali sono le sue caratteristiche, ma il semplice fatto che la comunità cristiana esiste, nasce il giorno di Pentecoste. E ciò vuol dire che chi riceve il dono dello Spirito non è lasciato solo come un cane sciolto senza collare, ma viene aggiunto alla comunità, aggregato, incorporato. E a sua volta, ciò vuol dire che come lo Spirito Santo ci porta a Cristo, così ci conduce alla Chiesa. Giovanni Paolo II, nell’enciclica Dominum et Vivificantem, scrive: «Il tempo della Chiesa ha avuto inizio con la venuta dello Spirito Santo sugli apostoli riuniti nel cenacolo di Gerusalemme insieme con Maria, la madre del Signore» (n. 25). Quindi la Pentecoste è il genetliaco, il compleanno della Chiesa. Data la sua derivazione dai gruppi pentecostali c’era da temere che il Rinnovamento carismatico, con il battesimo nello Spirito, portasse in una direzione opposta alla Chiesa, cadendo in una deriva individualistica. Era successo in gran parte ai movimenti carismatici dell’antichità, a cominciare dal primo, il “montanismo”, che diede un colpo di grazia ai carismi. Quasi tutte queste realtà assunsero tale dinamica, un movimento centrifugo che li portava fuori dalla Chiesa. Ciò non è avvenuto con il Rinnovamento carismatico che, anzi, fin dall’inizio, fu definito da Paolo VI «una chance per la Chiesa».
Cristo ama la Chiesa
Tale mancata deriva non è merito solo dei leader del Rinnovamento ma anche della gerarchia che ha saputo riconoscere questo dono dello Spirito. Oggi stiamo vivendo una situazione che esige dal Rinnovamento una nuova decisione a questo riguardo, un’assunzione di responsabilità nei confronti della vocazione ecclesiale del Rinnovamento stesso. La Chiesa è sotto accusa. Ci sarà anche tra noi chi la mette sotto accusa? Ritireremo la nostra fedeltà alla Chiesa per tutto quello che sentiamo dire su di essa che, ahimè, è anche vero? Dice san Paolo nella Lettera agli Efesini: «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5, 25-27). L’affermazione dell’Apostolo fa sorgere una domanda: Tu, ami la Chiesa? Molti cristiani oggi ripetono: «Cristo sì, la Chiesa no». Non si rendono conto che così rinunciano non solo alla Chiesa ma anche a Cristo. San Cipriano ha detto: «Non ha Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre». Conosciamo l’obiezione, che ci viene ripetuta in modo martellante da tutte le parti, sull’incoerenza della Chiesa, sugli scandali del clero. Crediamo che Gesù non le conoscesse meglio di noi le deficienze della Chiesa? Non sapeva per chi moriva? Non sapeva cosa stavano facendo gli apostoli quando lui era nel Getsemani? Ma egli ha amato la Chiesa reale, non quella immaginaria, ha amato la Chiesa in speranza, per quello che è chiamata a essere, la Gerusalemme celeste, la Sposa senza macchia, non per quello che è. Cristo ha amato la Chiesa perché fosse senza macchia? La Chiesa sarebbe senza macchia se non avesse noi! La Chiesa avrebbe una ruga in meno se io avessi commesso un peccato in meno! A Martin Lutero che gli rimproverava di rimanere nella Chiesa cattolica nonostante la corruzione che c’era in essa, Erasmo di Rotterdam in una lettera rispose: «Sopporto questa Chiesa nell’attesa che divenga migliore perché anche essa è costretta a me nella speranza che io divenga migliore». Dovremmo dunque tutti tacere? No! Una volta rientrato in casa, una volta che hai pianto per la Chiesa, ti sei umiliato sotto i suoi piedi, Dio ti può comandare, come ha fatto con altri nel passato, di alzare la voce contro i mali della Chiesa; ma non prima, e non senza essere disposto a morire in questa missione. Antonio Rosmini, don Primo Mazzolari, don Lorenzo Milani, per non parlare di quelli più vicini a noi, hanno levato la voce profetica contro i mali della Chiesa del loro tempo ma non hanno mai ritirato la loro fedeltà e sottomissione a essa; proprio uno di loro, don Primo Mazzolari, ha scritto delle parole che devono far riflettere: «Signore, sono la tua carne inferma, ti peso come croce che pesa, come spalla che non regge, per non lasciarmi a terra ti carichi anche del mio fardello e cammini come puoi, e fra coloro che tu porti c’è qualcuno che ti fa colpa di non camminare secondo le regole e accusa di lentezza anche la tua Chiesa, dimenticando che carica com’è di scorie umane che non vuole né può buttare a mare, perché sono i suoi figli, per lei il portare vale più dell’arrivare». E a chi lo spingeva a rompere con la Chiesa istituzionale che lo osteggiava, don Lorenzo Milani rispose: «Noi la Chiesa non la lasceremo mai perché non possiamo vivere senza i suoi sacramenti e senza il suo insegnamento».
Rinnovamento, pupilla dell’occhio di Cristo
In alcuni paesi di Europa e negli Stati Uniti, molti cattolici abbandonano anche ufficialmente la Chiesa, facendosi cancellare dall’elenco dei suoi membri. In una situazione analoga, quando molti se ne andavano da lui, Gesù rivolse ai suoi apostoli una domanda drammatica che rivolge in questo momento a noi: «Volete andarvene anche voi?» (cf Gv 6, 67). Come Pietro, rispondiamo: «Santa Madre Chiesa, da chi andremo? Chi altro ci potrà assolvere dai peccati? Chi altri ci darà il Corpo di Cristo? Santa Madre Chiesa, noi non ti lasceremo mai!» (cf vv. 68-69). Questo dobbiamo gridare!
Un uomo che partecipò al primo ritiro carismatico, pochi giorni dopo scrisse una lettera-testimonianza a un amico; lettera ci fa rivivere l’entusiasmo delle origini: «La nostra fede è diventata viva, il nostro credere è diventato una sorta di conoscere. Improvvisamente il soprannaturale è diventato più reale del naturale. In breve, Gesù è una persona viva per noi. Prova ad aprire il Nuovo Testamento e a leggerlo come se fosse vero, ora, ogni parola e ogni riga. La preghiera e i sacramenti sono diventati veramente il nostro pane quotidiano e non delle pie pratiche, un amore per le Scritture che io non avrei mai creduto possibile, una trasformazione delle nostre relazioni con gli altri, un bisogno e una forza di testimoniare al di là di ogni aspettativa. L’esperienza iniziale del battesimo nello Spirito non ci ha dato particolare emozione ma la vita è diventata soffusa di calma, di fiducia, di gioia, di pace. Abbiamo cantato il Veni Creator Spiritus prima di ogni incontro, prendendo sul serio quello che dicevamo e non siamo stati delusi. Siamo anche stati inondati di carismi e tutto ciò ci mette in una perfetta atmosfera ecumenica».
Il Rinnovamento carismatico in tutte le sue espressioni, nazionali e sovranazionali, è la pupilla dell’occhio di Cristo, e bisogna conservargliela!
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