Per fede – Conchita, la donna della prova

Di Lucia Romiti

«Il mio amore sarà un Dio crocifisso, il mio cibo la preghiera, la mia fortezza l’Eucaristia»

Maria de la Concepción Barrecheguren García
è vissuta in Spagna nella prima metà del secolo scorso.
Una vita breve la sua – è morta a soli 22 anni di tubercolosi –
ma tutta protesa a imitare Cristo condividendone
la sofferenza fisica e psichica.
La beatificazione si è tenuta a Granada il 6 maggio 2023.
Per i cristiani, Conchita è esempio di affidamento
totale a Dio e capacità di accogliere la Croce.

Aderente alla Croce

Cinque mesi prima di morire, Maria de la Concepción Barrecheguren García, che in famiglia tutti chiamavano “Conchita”, scrisse: «In verità, Dio mio, perché desidero io la vita se non la impiego nell’amarti? Ti scongiuro perciò che tu me la tolga prima che succeda questo: se non ti amerò, se ti offenderò, prima mandami la morte, perché è molto infelice la vita che non si impiega al tuo amore e al tuo servizio. Ti ringrazio per gli innumerevoli benefici e grazie che mi hai concesso nel corso di questi ventuno anni, e ti chiedo di perdonarmi il male con cui ho corrisposto a essi. Sì, ne ho vergogna Dio mio, ma è certo che tu non hai smesso di amarmi sebbene io non abbia smesso di dispiacerti. Ma ora, Signore, voglio correggermi, voglio amarti, voglio conformarmi in tutto quanto disporrai di me. Fa’ che gli anni che mi restano di vita siano soltanto per te». Era il 27 novembre 1926, e la giovane spagnola oggi beata compiva ventuno anni.
La storia di Conchita, beatificata il 6 maggio 2023 a Granada, è un esempio altissimo di sofferenza cercata, abbracciata, vissuta sull’esempio della Croce. Una vulnerabilità, una fragilità attraversate aderendo a Cristo, proprio come lo scalatore, quando nel cammino è colto dalla tempesta, aderisce alla roccia per avere riparo e sopravvivere.
«Il mio amore sarà un Dio crocifisso, il mio cibo la preghiera, la mia fortezza l’Eucaristia»: da queste parole l’essenza della fede di Conchita, che nel 1927, a soli ventidue anni, nel mese di maggio muore di tubercolosi.

La “via” della sofferenza

I genitori di Maria de la Concepción Barrecheguren García sono profondamente cristiani, e Conchita, che è figlia unica, cresce avvolta dalla fede, dall’amore, dalla preghiera, da una speranza di fondo che non verrà mai meno, nonostante le prove in particolare fisiche che la sua famiglia dovrà affrontare.
Il papà è Francesco Barrecheguren Montagut; la mamma, Concha García Calvo. Conchita nasce a Granada, in Spagna, il 27 novembre del 1905. Fin da piccola ha una salute fragilissima, tanto che i genitori cercano di preservarla non facendole frequentare la scuola ma insegnandole loro stessi le discipline e il catechismo.
Da quando la piccola riceve la Prima Comunione non passerà più un giorno senza che si accosti all’Eucaristia. La meditazione, la recita del Rosario, la lettura delle Scritture accompagnano le sue giornate.
Conchita desidera moltissimo diventare suora carmelitana ma sono ancora le sue condizioni di salute a impedirglielo. In particolare, soffre di una grave infiammazione intestinale che condiziona la sua quotidianità di vita e negli anni si aggrava. Oltre a questo, vive una sofferenza psichica dovuta alla malattia mentale della madre che trascorre lunghi periodi in ospedale per curarsi.
La sofferenza diventa però per Conchita la via per raggiungere Cristo, per sentirlo vicino, per assimilarsi a lui. Tanto che la giovane futura beata non si limita ad accogliere e a sopportare la sofferenza senza perdere la gioia, affidandosi a Dio e non smettendo mai di dedicarsi agli altri, ma arriva a invocare per lei ulteriore sofferenza.
Innamorata della figura di santa Teresa di Lisieux, va in pellegrinaggio nella città francese. E lì il Signore va incontro alle sue preghiere.

Un esempio da seguire

A Lisieux, infatti, Conchita chiede a Gesù di essere anche lei afflitta, come era stato per santa Teresina, dalla tubercolosi.
I primi sintomi si manifestano poco tempo dopo, l’anno prima della morte, in ottobre.
La famiglia Barrecheguren García si trasferisce nella casa delle vacanze in modo che la giovane respiri aria più salubre. Ma il trasferimento non serve. La malattia procede senza tregua, prostrando il corpo di Conchita, che muore a soli 22 anni, il 13 maggio 1927. Sofferenza su sofferenza: nell’ultimo periodo della sua vita, viene assistita solo dal padre, che lei ama molto, ma non dalla madre, che viene nuovamente ricoverata a causa della malattia mentale di cui soffre. Questa cesura obbligata con la madre è per la giovane una prova ulteriore da vivere, forse la più dura. La sua fede però non vacilla. L’Eucaristia quotidiana la accompagna tra le braccia del Padre.
Nell’omelia di beatificazione, il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei santi, di lei ha detto: «La sua vita terrena fu breve e, per di più, molto presto segnata dalla sofferenza e dalla malattia. Davvero un vaso di creta! In lei, però, si è realizzato quello che scrive l’Apostolo: “tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati… portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (…). Maria Conchìta ha dato frutto abbondante perché è sempre stata unita a Cristo e mai si è distaccata da lui, anche nelle ore buie della prova. Dovette, difatti, affrontare avversità umanamente superiori alle sue deboli forze (…). Tutto, però, ella illuminò con la sapienza della Croce, convinta che le pene e le sofferenze rendono la creatura più vicina e somigliante a Cristo (…). Ora anche questa nuova beata diventa per tutti noi un modello da imitare. Soprattutto a chi è nella sofferenza e nella prova, la beata Maria Conchita, con l’offerta della sua giovane, breve esistenza e con l’affidamento totale e fiducioso in Dio, mostra come la conformazione a Cristo, nell’amore crocifisso, trasforma la sostanza della vita, anche la più complessa e difficile».

LA GUARIGIONE MIRACOLOSA

Di Maria de la Concepción Barrecheguren García colpisce anche l’umiltà. Al papà che gli diceva che sarebbe sicuramente andata in paradiso, rispondeva dicendo: «No, io non possiedo nulla di quanto avevano i santi. Non ho mai sentito nulla, non ho mai visto nulla e mi sento sempre un palo secco». Francesco Barrecheguren Montagut, dopo la morte di Conchita, assiste per dieci anni la moglie malata. Una volta morta la donna, entra nella Congregazione del Santissimo Redentore. Morirà improvvisamente mentre era raccolto in preghiera nella sua cella.
La guarigione riconosciuta come miracolosa per la beatificazione di Conchita è quella di una bambina spagnola proveniente dalla diocesi di Orihuela-Alicante che nel 2014, a 2 anni, viene ricoverata nella terapia intensiva dell’Ospedale universitario di Alicante dopo che le sue condizioni di salute si erano aggravate. La diagnosi: sindrome da shock tossico.
La bambina è intubata e il sacerdote la battezza perché i medici la considerano in fin di vita. Sono le sorelle a chiedere l’intercessione di Maria Conchita. Accanto al letto della piccola, in terapia intensiva, una medaglietta di Conchita è sempre con lei.
Dopo le preghiere incessanti, la bambina guarisce miracolosamente e viene dimessa.

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