Beatificato il 26 settembre 2021 nella Basilica di San Petronio a Bologna, don Giovanni Fornasini è stato sacerdote martire della fede durante la Resistenza italiana all’occupazione nazi-fascista del nostro Paese.
Non ancora trentenne, parroco del paesino di Sperticano, sull’Appennino bolognese, don Giovanni è stato avamposto di speranza, umanità e preghiera sul fronte di guerra.
È stato ucciso dalle SS tedesche in un’imboscata, mentre andava a benedire le salme dei civili uccisi sul Monte Sole.
Gli strumenti dell’apostolato
«Parroco zelante nella carità, non abbandonò il gregge nel tragico periodo della seconda guerra mondiale, ma lo difese fino all’effusione del sangue. La sua testimonianza eroica ci aiuti ad affrontare con fortezza le prove della vita».
Queste parole di Papa Francesco, pronunciate in occasione della beatificazione di don Giovanni Fornasini, descrivono la figura del sacerdote emiliano torturato fino alla morte dalle SS tedesche, ma anche di molti altri sacerdoti che nel periodo della Resistenza italiana hanno dato la vita per i loro parrocchiani, accogliendo sfollati, difendendo la popolazione dalle rappresaglie, dando sepoltura alle salme dei caduti. Uomini di Dio che sul fronte della guerra civile hanno mantenuto accese le luci della speranza e della solidarietà.
Non aveva ancora compiuto trent’anni, don Giovanni Fornasini, quando, il 13 ottobre 1944, fu attirato con l’inganno presso San Martino di Caprara, sull’Appennino bolognese. Aveva chiesto ai militari tedeschi che avevano occupato la sua canonica, di poter andare a benedire e seppellire i morti delle stragi naziste perpetrate negli ultimi giorni. Non tornerà più. I suoi resti saranno ritrovati solo dopo la fine della guerra, in aprile, dal fratello Luigi.
Accanto a essi, la bicicletta, gli occhiali e l’aspersorio, strumenti di un apostolato instancabile. Gli stessi che il 26 settembre 2021, nella Basilica di San Petronio a Bologna, sono stati portati all’altare durante la cerimonia di beatificazione concelebrata dal card. Matteo Maria Zuppi, che ha detto: «Ecco la santità semplice e mite che oggi ci comunica Fornasini, accogliente, generoso, dolce e mite in tutte le occasioni come deve essere il cristiano».
La strage di centinaia di civili – anziani, donne e bambini – sul Monte Sole, più conosciuta come strage di Marzabotto, era iniziata il 29 settembre del ‘44. Mentre gli alleati risalgono da sud, i soldati tedeschi combattono con i partigiani e sterminano la popolazione accusata di collaborare con i ribelli. Oltre a don Fornasini, in quei giorni, moriranno l’amico don Ubaldo Marchioni, il salesiano don Elia Comini, il dehoniano padre Martino Capelli, don Ferdinando Casagrande e suor Maria Fiori. Tutti colti nel pieno del loro servizio pastorale, in aiuto alla popolazione. Suor Maria Fiori aveva appena preparato i bambini a ricevere il sacramento della prima Comunione.
Quel giorno, il 13 ottobre, quando era salito a San Martino di Caprara, don Giuseppe voleva cercare proprio l’amico don Ubaldo, di cui non aveva più notizie da giorni.
Giuseppe Fornasini nasce a Pianaccio, nel comune di Lizzano in Belvedere, un paesino di pochi anime posto sull’Appennino bolognese, il 23 febbraio 1915. Il padre si chiama Angelo e la madre Maria Guccini. Dieci anni dopo la famiglia si trasferisce a Porretta Terme, dove Angelo lavora come impiegato alla posta.
Giovanni cresce all’ombra della parrocchia, diventando il braccio destro del parroco don Minelli. Alle elementari viene bocciato più volte, e nel proseguo delle scuole rimandato in alcune materie. Fa fatica nello studio, ma ce la mette tutta. È un ragazzo umile, molto attento agli altri. Un viaggio a Lourdes con l’Unitalsi è volano per la sua vocazione.
Dopo aver collaborato con l’anziano parroco don Giovanni Roda, alla sua morte, il 27 settembre 1942, diventa ufficialmente parroco di Sperticano (BO), una piccola comunità di 300 abitanti che ben presto si troverà coinvolta nella guerra.
Don Giovanni Fornasini cercherà in ogni modo di alleviare l’impatto della guerra sul corpo e sull’anima della gente. Dopo l’8 settembre 1943, si susseguono, lungo la linea gotica, gli scontri tra i partigiani della Brigata Stella Rossa e gli occupanti tedeschi. Il parroco, con la sua bicicletta, è instancabile nel cercare di aiutare chiunque abbia bisogno. Salvando da rappresaglie e deportazioni. Seppellendo i cadaveri dei giovani ribelli uccisi e disobbedendo così agli ordini dei tedeschi per i quali quei cadaveri dovevano rimanere insepolti. Tutto questo a rischio della sua vita. La porta della sua canonica è sempre aperta per tutti, senza distinzione.
Il card. Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, nell’omelia della Messa di beatificazione di don Giovanni, ha detto che il giovane sacerdote «è stato un profeta dell’inclusione, odiato dai banditori della discriminazione. Curando gli sfollati non smise mai di pregare con la gente, nella Messa, con i sacramenti e il Rosario. Soprattutto moltiplicava gli sforzi per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Così – ha continuato – la violenza evitata alle pecorelle ha colpito il pastore, diventando odio alla sua mediazione sacerdotale. Persino l’inganno che lo ha attirato nel luogo del martirio ha dovuto far leva sulla sua premura pastorale».
Temeva il peccato, ma non la morte
Don Primo Mazzolari, anche lui prete antifascista a Bozzolo, in Emilia Romagna, scriveva: «I sacerdoti furono i meno proni ai padroni dell’ora, gli unici che a un popolo avvilito e ad un gerarca prepotente e protervo, osavano ripetere dalle loro piccole chiese la Parola che da venti secoli fa tremare i tiranni (…). Venivano da ogni dove a qualsiasi ora, sotto i nomi più misteriosi. Il prete apriva la porta, ricoverava, animava, consigliava, senza chiedere nulla, senza sapere chi fossero, donde venissero, quale fede politica li sorreggesse. E spesso era il primo che andava dentro, prelevato sull’alba mentre suonava l’Ave Maria, come un malfattore. E come malfattore mandato a Mauthausen o al muro».
Fu uno di questi sacerdoti anche don Giovanni Fornasini, che la mattina del 13 ottobre, salendo a San Martino di Caprara con il suo lasciapassare, recitava il Rosario, desideroso di benedire le salme dei morti. Lo aspettava un’imboscata.
La sera di quello stesso giorno le SS che avevano occupato dall’8 ottobre la sua canonica brinderanno al suo omicidio. «Pastore Kaputt», dirà qualche soldato tedesco.
Il giornalista Enzo Biagi, amico del sacerdote, su di lui affermò: «Temeva il peccato, ma non temeva la morte».
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