Relazione finale Alleluja IWM – Salvatore Martinez

“Ogni vivente dia lode al Signore. Alleluja!” (Sal 150, 6)

“Noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha per noi” (1 Gv 4, 16a.)

Due “versi” per una sola adorazione

Il Rinnovamento nello Spirito, nel tempo del covid-19, riparte con un verso allelujatico, con una dossologia finale – doxa in greco significa “gloria” – dunque dal verso finale del salmo finale del libro dei canti, 150 canti, detto il Salterio, cioè il “libro della lode” proprio del popolo eletto d’Israele. Questo libro, da 2000 anni, è anche il nostro libro dei canti, il libro della lode del popolo cristiano: è il primo libro di canti della Chiesa Cattolica!

Dunque, un solenne invito a dare lode al Signore; di più, a divenire, noi, ciascuno di noi, il grande canto della gloria di Dio.

Se lo Spirito Santo me lo permette, vorrei aiutarVi a scoprire alcune verità fondamentali della nostra vita, alcuni “segreti” imprescindibili del cammino del RnS. Proveremo a capire il significato di una verità teologica, espressa da San Giovanni e tema di questa mia riflessione: “Noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha per noi” (1 Gv 4, 16a.), in relazione al verso biblico che ha fatto da sfondo al nostro Alleluja IWM: “Ogni vivente dia lode al Signore. Alleluja!” (Sal 150, 6)

Vorrei aiutarVi a capire quale è la nostra vocazione nella Chiesa, quale è il destino dei nostri Cenacoli, Gruppi, Comunità, quale è la nostra missione nel mondo, condurVi alle sorgenti della nostra fede carismatica, del nostro amore, dell’effusione dello Spirito, per poi andare insieme alla presenza del Glorioso, il Glorificato dal Padre, Gesù, nell’Adorazione eucaristica. Qui, questi nostri due versi biblici si fonderanno meravigliosamente.

*****

Un “campo nuovo”… in casa!

Una brevissima testimonianza. Questo Alleluja IWM è un dono dall’alto, come ogni Parola del Signore che cade sulla terra e ci colpisce. Ger 4, 3: “Preparate un campo nuovo (“Dissodatevi un terreno”). Così ci parlava il Signore da oltre un anno. In CNS e in CN, presente il nostro amato don Guido M. Pietrogrande, ci chiedevamo cosa potesse essere “il campo nuovo”.

Di fatto pensavamo a una metafora: un nuovo campo di azione, una nuova missione, un nuovo modo di procedere nel nostro cammino. Non era ancora giunto il lockdown. Quando poi ci siamo ritrovati costretti a rinunciare alle nostre prassi comunitarie, abbiamo pensato che il “campo nuovo” potesse essere il web, il luogo nel quale stavamo operando la nostra imponente “conversione digitale” e potevamo continuare, in modo nuovo, la nostra testimonianza, evangelizzazione, formazione.

Fissata, in fede, la data dell’Alleluja IWM, abbiamo cominciato a cercare in Roma un luogo conveniente dove poter ospitare l’evento; al termine di questa ricognizione, abbiamo ritenuto di potere osare, organizzando in casa, nel giardino di casa. E così è iniziata la corsa a rendere bello, accogliente questo spazio esterno alla nostra casa: si compiva la profezia e non ce ne accorgevamo. Sì, il “campo” era proprio il giardino di casa! Il Signore ci riportava a casa; ci faceva ripartire da casa, ci faceva portare la nostra casa in tutte le case, facendo di noi stessi “il campo nuovo” da lasciar lavorare dallo Spirito Santo. Che meraviglia! Alleluja!

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Non c’è lode a Dio senza obbedienza nella prova

Per comprendere il Salmo 150 e l’ultimo suo verso, dobbiamo recuperare il Salmo 1. Moltissimi studiosi della Bibbia ritengono che si possa stabilire un’inclusione tra il primo e l’ultimo salmo; ovvero, che i due salmi siano tra loro strettamente collegati, come se fossero due grandi parentesi che racchiudono all’interno tutti gli altri 148 Salmi, cioè tutto il messaggio del Salterio.

Ce lo spiega assai bene, tra i tanti Padri, Gregorio di Nissa, grande esegeta del IV secolo:

“Com’è grande la sapienza dei salmi! All’inizio aprono, come fosse una porta, il pellegrinaggio verso la beatitudine. Quale è questa beatitudine? l’allontanamento dal male. Poi, dopo aver dato ai pellegrini la guida della Legge, con la promessa che saranno simili all’albero sempreverde (Sal 1,3), e dopo aver mostrato le disgrazie di quelli che seguono la via contraria (Sal 1,4-5), salmo dopo salmo si giunge al vertice della beatitudine, attraverso successive salite. Questo vertice è mostrato nell’ultimo salmo, dove, con la completa sparizione dei peccati, gli esseri saranno santi e proclameranno sinfonicamente la lode a Dio. Quando tutta la creazione sarà stata armonizzata in un solo coro di tutti gli esseri superiori e inferiori, essa produrrà il dolce suono della lode che sale al Creatore senza fine”.

In altre parole, con questo verso (Sal 150, 6), lo Spirito Santo ci fa compiere una sorta di itinerario: si va dall’obbedienza a Dio, attraverso la Legge, la sua Parola (Salmo 1), alla lode a Dio, attraverso la nostra propria vita e insieme a tutto ciò che respira (Sal 150).

Quale è la prima beatitudine promessa all’uomo giusto del primo salmo, l’uomo a cui non è risparmiato il soffrire, il penare, il mendicare amore? Altro non è che la lode pura al Signore e Creatore dell’ultimo salmo. Dunque, un cammino, un’ascesa, una sorta di salita al cielo, il luogo della perfetta lode a Dio, a cui si può giungere solo mediante l’obbedienza alla Legge, la Parola di Dio. Come? In una sola parola: amando. Il celebre detto di Sant’Agostino “canta e cammina” è tutto qui.

Senza amore la vita è immersa nella tristezza non nel canto; senza amore la vita è paralizzata, il covid-19 è una forma di paresi, e così non cammina, non avanza.

Solo l’uomo che vive la Parola del Signore, che ama la Parola del Signore è capace della vera lode, la più gradita a Dio, ovvero colui che, da vero figlio, adempie, vive in pienezza la volontà del Padre, espressa nella Parola.

Che meraviglia: il santuario di Dio che è il Cielo, divengo io sulla terra se, obbediente alla Parola, come Gesù sottomesso al Padre, faccio della mia vita una gloria gradita a Dio.

Chi ama la Parola, non loda, diviene lode; non glorifica Dio, diviene gloria di Dio.

Glorificati, per “essere gloria” e “dare gloria” con la vita

Lo afferma sant’Ireneo: “Gloria di Dio è l’uomo vivente”.

Come Gesù, nel Getsemani, anche noi nel Getsemani della nostra vita, nel cammino pericoloso e accidentato e malato della nostra esistenza umana, possiamo sentire la voce del Padre che dice del Figlio: “L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò” (Gv 12, 28). E’ la lode del Padre. Si “udì la voce”, scrive Giovanni. Come sarebbe bello dire “si udì il canto del Padre”, la lode del Padre al Figlio. Annota l’Evangelista che gli Apostoli capiranno dopo la morte di Gesù cosa successe quel giorno e il significato della “voce del Padre”.

Sono un glorificato quando sono obbediente, fino alla morte.

Sono una lode che vive e che non vuole morire quando tutto muore.

Sono un glorificato perché sono un mortificato; sono un lodato dal padre perché sono ingiuriato dagli uomini.

Sono lodato dal Padre perché la mia vita ama.

Dunque, non una lode che dice parole, ma una lode che dice la vita, che è vita, che dà la vita, che esalta la vita a partire dalla sofferenza.

E’ un mistero talmente grande e profondo, che mi mancano le parole per esprimerlo. Forse dovrei prendere la chitarra e come Davide pizzicare le corde e vedere se vibrano d’amore. Dovremmo tutti avere questa “arpa a dieci corde” (Sal 32, 2), che è la nostra vita, che fa vibrare la Parola di Dio, simboleggiata dai dieci comandi d’amore quante sono le corde dell’arpa (una metafora, dal momento che l’arpa di corde ne aveva 40).

Obbedendo alla Parola, divengo Parola; il mio respiro diventa il respiro di Dio; la mia vita la vita di Dio, la mia lode la stessa lode che il Padre fa del Figlio e che fa divenire il Figlio la gloria del mondo.

Così, solo così, possiamo comprendere che relazione esiste tra la lode è l’amore; di più come io diventi il punto di congiunzione, di esaltazione divina di una lode generata dall’amore di Dio e che genera l’amore di Dio.

Io sono la più bella dichiarazione d’amore che Dio abbia mai scritto e cantato!

Per bocca di San Paolo questo ci è rivelato. Cosa Dio Padre ha fatto, cosa ha potuto fare  dell’uomo, di me, di te: la più bella canzone d’amore che potesse essere scritta. E’ scritta al plurale, come il verbo “lodate” del Salmo 150:

“Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nell’amore, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato” (Ef 1, 3-6).

Ecco: da dove veniamo, perché stiamo su questa terra, dove siamo diretti e attesi.

Ecco cosa significa essere amati, ecco cosa significa amare Dio, dunque divenire la sua lode, la sua gloria, espressione della sua grazia, dunque veramente carismatici.

La lode coincide con la vita amata.

La lode è la pienezza dell’amore obbediente.

La lode è la vita scolpita, intagliata, incastonata dalla Parola eterna del Padre.

La lode è la dossologia della vita, la firma a quel cantico di lode che diviene la nostra stessa vita dinanzi a Dio.

Forse, adesso comprendiamo come e perché nasce il Cantico della Creature di San Francesco; o il Testamento spirituale del più grande compositore di canti d’Israele, il Re Davide (cf 1 Cr 29, 10 ss).

L’amore per la Parola fonte della vera lode

Ora, se leggiamo quanti sono gli inviti a lodare il Signore contenuti nel Salmo 150, scopriamo che sono 10.

Quante sono le parole pronunciate da Dio nella creazione del mondo (cfr. Gen 1-2)? Ancora 10.

E quante sono le parole pronunciate da Dio sul Sinai (cf. Es 20,1-21), nel consegnare la Legge, la Parola al suo popolo? Sempre 10, i 10 Comandamenti.

Questo significa che, con la lode del Salmo 150, l’uomo credente risponde alla Parola rivoltagli da Dio nella creazione; è come se tornasse nel grembo della storia – ricordate Ef 1 “prima della creazione del mondo – prima di avere un corpo mortale, quando era solo lo Spirito che aleggiava sulle acque, nel primo santuario maestoso di Dio che è la creazione. Che meraviglia: già allora ero lode di Dio, prima della creazione del mondo, chiamato alla vita con il creato, generato dalla Parola di Dio, dalla Parola creatrice di Dio, con cui “tutto fu”.

Ora, in Gesù, tutto ciò che “fu” torna ad essere, ed è per sempre. La lode è il sigillo di eternità di tutto ciò che sussiste in Gesù.

Se amiamo Gesù e lo lodiamo, entriamo nella Sua vita e siamo come eternizzati. Il suo amore eterno ci eternizza e la lode ci rende segno di eternità, anticipo di cielo.

Solo così possiamo recepire lo stretto legame tra l’adesione alla Parola eterna di Dio, Gesù, e la lode a Dio Padre per mezzo di Gesù. Se non aderisci alla Parola, non esisti, non vieni alla vita, non hai respiro, non avrai mai in te la volontà di Dio.

Per favore, prima che aderire al RnS, siamo chiamati ad aderire alla Parola.

Prima che cercare nel libro dei canti la lode da cantare, cerchiamo in noi l’amore di Dio, verifichiamo se stiamo amando, altrimenti noi stiamo solo sporcando l’armonia di Dio, siano cacofonici, non sinfonici.

Quando qualcuno canta ed è stonato, significa che non ha il tono giusto con il quale tutti cantano; è solo un uomo che non è stato educato al canto, all’ascolto.

Così anche noi: la nostra vita è stonata, cacofonica, perde il tono, quando l’amore non abita in noi, non ha guarito tutte le note stonate della nostra vita, non ci mette in armonia, sinfonia con tutte le altre voci che con noi cantano in comunione al Signore

Ce lo insegna la sapienza di Dio; questa armonia guarita, diversificata, che deve conservare lo stesso tono. Sap 19, 18: “Come le note di un’arpa variano la specie del ritmo, pur conservando sempre lo stesso tono”

Lode che risuona nel santuario che è la nostra vita

Nel primo versetto del Salmo 150, il salmista invita chi ascolta il suo grido a lodare Dio, rivolgendo lo sguardo verso “il suo santuario, il suo maestoso firmamento”. Tradizionalmente, in tutte le religioni, il luogo della dimora di Dio è il cielo. Ma con Gesù la prospettiva cambia: così scopriamo che questo tempio – il santuario di Dio – non è solo in cielo; e non è neanche il tempio costruito da mano d’uomo, il luogo dove risuonano le lodi, la liturgia del Signore.

Noi siamo il Santuario di Dio, il tempio di Dio. 1 Cor 6, 19 “O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio”.

Un tempio che non potrà mai essere distrutto. Potranno anche essere distrutti tutti i templi che sono sulla terra, dove si adora Dio, ma non potrà essere distrutta la gloria di Dio, l’uomo, il santuario di Dio che siamo noi, la dimora dello Spirito che siamo noi, la vita del figlio di Dio, di Gesù, che siamo ciascuno di noi per il Padre.

Noi, continuo a dire noi, perché la nostra vita è comunitaria. Noi siamo il tempio; noi siamo parte del medesimo corpo spirituale, invitati a lodare Dio insieme: “lodate”. Insieme, per riprodurre il corpo di Cristo, l’eucaristia, il rendimento di grazie di una comunità celeste sulla terra. Ecco l’amore, che si fa dono, che si fa offerta, che si fa gratuità, generosità, servizio, ministero, prossimità.

Dio si declina sempre al plurale. Il movimento della lode, si dipana dall’alto in basso, dal cielo alla terra, coinvolgendo progressivamente tutti gli esseri viventi, ogni vivente, insieme.

La lode è il più potente fraternizzante della terra. E il fertilizzante dell’amore, che coltiva il campo della comunione, che ara il campo della comunione.

La lode fraternizza, perché amore in relazione vitale, che comunica vita nuova.

Per questo San Paolo potrà dire: “Il frutto dello Spirito è amore”, e subito dopo “gioia” (Gal 5, 22).

Ora, nel Tempio, nel santuario di Dio, nel luogo della gloria di Dio, che siamo noi, non si entra a mani vuote. Servono strumenti musicali. 7 strumenti musicali, simbolo della totalità dei suoni sono elencati nel Sal 159: “corno, arpa, cetra, tamburelli, corde, flauti, cimbali”. Sono i 7 antenati di tutti gli strumenti conosciuti.

Questi strumenti, a loro volta, sono accompagnati dalla danza che coinvolge tutto il corpo. Che senso avrebbe usare strumenti percussivi, ritmici, se non si danza? Così come non si usano strumenti dal suono persistente e potente, come il corno, se poi non si grida, non si acclama.

Secondo il simbolismo ebraico i 7 strumenti richiamano le 7 braccia del Menorah, il famoso candelabro posto nel Santo dei Santi del tempio di Gerusalemme. Questa immagine suggerisce che tutti gli strumenti e le forme musicali che il genio umano ha inventato, “ardono”, sono come fiamme d’amore, come il Menorah di fronte al Santo dei Santi, prestando all’uomo il loro suono per esprimere ciò che l’uomo non sa dire a parole.

Ora attenzione. Al termine del 7° strumento, il Salmo 150 ne giunge un altro, che sembrerebbe non avere nulla a che fare con lo sviluppo del salmo. In realtà non è un altro strumento, perché più che un suono ha un respiro; più che un timbro ha un soffio, un soffio vitale. E’ uno strumento che emette vita, che comunica vita, di più, una vita spirituale, ancora di più, la vita di Dio: è l’uomo!

Lo Spirito Santo alita in noi; noi alitiamo lo Spirito nella lode

L’uomo: ogni vivente è lo strumento dello Spirito di Dio, del Soffio di Dio, per soffiare la lode al Signore, la lode del Signore. Il profeta Isaia lo raccomanda con forza: “Il vivente, il vivente ti loda, come io faccio oggi” (Is 38, 19).

A questo candelabro ideale, dunque, si aggiunge un “ottavo braccio” con l’affermazione che chiude tutto il Salterio: “Ogni vivente dia lode al Signore”. In realtà la traduzione più efficace sarebbe: Ogni essere che respira lodi il Signore.

Il salmista sembra voler dire che la voce umana che canta, i movimenti del corpo e tutti gli strumenti musicali messi insieme sono ancora poca cosa per lodare il Signore. Occorre respirare, alitare lo Spirito che è in noi, altrimenti si muore, muore tutti intorno a noi.

La lode è il primo riflesso dell’effusione dello Spirito, perché se apri la bocca e aliti lo spirito vivente che è in te, la tua voce, le tue parole sono lode, proclamazione dell’amore, vita d’amore.

Dunque, la lode tiene in vita il mondo; è il respiro di Dio per il mondo; è l’eccellenza della vita amante.

Così comprendiamo che non abbiamo capito niente quando diciamo “non posso lodare il Signore perché sono nella prova, sono nel peccato, sto male”. E magari rimaniamo ammirati da una persona che distesa su un letto, in una tempesta di dolori, loda Dio. E ci chiediamo: ma come fa?

Che stupidi, anziché stupiti: quella persona sta semplicemente respirando. Ama Dio e pertanto respira di vita nuova. E se non respira muore. Il ritmo della vita è la lode; il ritmo del suo respiro è il più incredibile accompagnamento musicale al suo silenzio. La sua vita grida!

Tanti anni fa mi trovavo relatore con il Card. A. Comastri a un convegno su Benedetta Bianchi Porro e mi portarono un giovane su una lettiga: paralizzato, senza l’uso della parola, senza udito. Lodava Dio con gli occhi; lui era Gesù in croce che alitava lo Spirito. Respirava di Dio.

Quando penso all’eutanasia: è la bestemmia della lode; è il piano satanico a tutto quello che sto dicendovi. Noi siamo il respiro di Dio quando il covid-19 toglie l’aria dai polmoni. Noi siamo l’alito di Dio quando la vita sembra spegnersi e però vuole vivere ,non sopravvivere.

Non lo dimenticate: chiede l’eutanasia chi non vuole sopravvivere, non chi vuole vivere. Perché senza lo spirito del Dio vivente noi siamo già tutti moribondi o morti.

Noi siamo il volto crocifisso e risorto di Cristo, il volto dell’amore sempre ferito e sempre guarito, che il mondo non vuole vedere, riconoscere, che vorrebbe asfissiare, soffocare, spegnere. Noi siamo l’alito del Dio vivente che tiene in vita la storia.

Se le persone sapessero cosa ha scritto san Paolo per loro (ricordate Ef 1); o se imparassero il Salmo 104, 29-31: “Se nascondi il tuo volto, vengono meno, togli loro il respiro, muoiono
e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra.  La gloria del Signore sia per sempre; gioisca il Signore delle sue opere”.

Chi ama, prega; chi non prega, muore

In altre parole, la meta della preghiera, e in particolare della preghiera di lode, è che essa permei tutta l’esistenza del credente, come il respiro, come se fosse il suo respiro. In questo modo l’uomo credente non farà più preghiere, nel senso di pronunciare formule, ma diventerà  preghiera effusiva. Una preghiera diffusa, come si diceva di Francesco d’Assisi: “Non pregava più, era ormai diventato preghiera” (cfr. Fonti Francescane, 682).

Citando questa frase mi sono guadagnato una predicazione a Doha, in Qatar, dinanzi a 600 studenti di teologia islamica. Era il 2007, ero relatore al Meeting della Comunità di Sant’Egidio a Napoli. E il rettore dell’università islamica della capitale del Qatar, una donna, rimase colpita da questa frase. Mi venne incontro e mi disse: venga a spiegare ai miei studenti cosa significa. “non pregare ma diventare preghiera”. Risposi che sarei andato a parlare dello Spirito Santo, perché solo Lui può farci diventare preghiera e preghiera che amando vive. E lei mi disse venga e così andai.

La preghiera è la vita. E la vita, nonostante tutti i tentativi della scienza e della tecnologia, più che essere definita deve essere vissuta.

Sì, per vivere veramente, bisogna pregare. Perché vivere è amare. Una vita senza amore non è vita.

Se non preghi non puoi amare, non sai amare, non sai vivere la vita.

Se non preghi non capisci nulla della prova del covid-19; peggio ancora, riempirai di proteste il cielo e la terra e non di lode, di vita nuova, di vita che sa solo amare.

Covid-19: solitudine vuota, prigionia della speranza che va liberata da un nuovo, potente flusso di lode, dunque di amore, dunque di vita.

Vive veramente solo chi ama. Come la pianta che non fa sbocciare il suo frutto se non è raggiunta dai raggi del sole, così il cuore di ogni uomo, dell’uomo di ogni fede: il cuore umano non si schiude alla vita vera e piena se non è prima toccato dall’amore.

E il nostro amore per la vita, per la difesa della vita, nasce dall’incontro e vive dell’incontro con l’amore di Dio, il più grande e vero di tutti gli amori possibili, anzi l’amore al di là di ogni nostra definizione e di ogni nostra possibilità.

Perciò, chi prega vive, nel tempo e per l’eternità. Chi non prega non ha respiro nei polmoni,  è un covidizzato spirituale,  rischia di morire dentro, perché gli mancherà l’ossigeno che rende puro il sangue di Cristo che scorre nelle sue vene, gli mancherà la luce per vedere la storia con gli occhi di Dio, l’affetto e il calore per praticare la compassione e la misericordia, la gioia per dare colore e fantasia alla vita.

Dunque, ogni essere che respira, ogni essere ha “un alito di vita nelle narici” (cf. Gen 7, 22): All’uomo spetta la responsabilità di farsi voce di ogni creatura, captando l’oceano di preghiere che dall’universo sale a Dio e presentandoglielo come cantico senza fine.

E quello che adesso faremo nell’adorazione.

Lode, come slancio d’amore per il mondo

È in questo spirito di lode pura, cosmica, universale, frutto di una scelta autentica di libertà, di autenticità, che noi siamo RnS, che noi possiamo andare avanti, che possiamo camminare, continuare ad amare la Chiesa, i nostri gruppi, i nostri fratelli, le nostre famiglie, questo nostro mondo. Solo così il RnS va avanti, oggi ancor più con i mezzi tecnologici di cui ci stiamo dotando.

Sarà una grande rivoluzione, siamo solo all’inizio. Un nuovo inizio di una nuova stagione di evangelizzazione che trovi nella vita comunitaria la sua fonte e nel mondo tutto intero il suo sbocco.

Può lodare e cantare così solo chi ama e si riconosce infinitamente amato dall’Amato. Altrimenti deve andare non a scuola di musica, ma alla Scuola dell’Amore, dove si impara il solo canto dell’amato: Gesù, la parola che tutto ama, che tutto salva, che tutto trasforma in glorificazione del Padre.

I Salmi, come il canto, ci rivelano una antropologia relazionale: l’uomo non è mai solo, non canta da solo (forse sotto la doccia o in cucina o nei campi). Vive, strutturalmente in rapporto all’altro, sempre, consapevolmente o inconsapevolmente, in rapporto col Dio da cui veniamo e verso cui andiamo pellegrini, insieme con tutti gli altri cittadini del tempo.

La lode testimonia un “decentramento da sé” che non va unicamente nella direzione di Dio, ma anche nella direzione dell’altro, compagno in umanità, in fraternità, in dolore e speranza. Proprio così, l’orante del Salterio si scopre fatto per lodare e celebrare, e dunque per amare e riconoscersi amato, per invocare e rendere grazie del dono, per donare e offrire se stesso nel movimento del cuore, che nella lode si esprime.

Soprattutto non si scopre solo, ma in relazione con i fratelli in una comunità.

La lode è il collante della comunità, è il cemento armato della comunità, è il flusso di grazie carismatiche che vivifica il corpo: ma se scorre amore, se è lode venata d’amore.

La lode è l’amore che irradia carità, misericordia operosa, offerta di noi stessi.

La lode è l’atto più altruistico che ci sia: non parla di te, ma di Dio; non parla solo di te, ma ama tutto ciò che è con te, per te, cioè il fratello

La lode scade in un teatrino di canti e gesti quando non esprime una vita relazionata con Dio e con i fratelli. Diventa l’apologia di noi stessi, delle nostre emozioni, delle nostre evasioni, del nostro bisogno di distrazione dalla routine della vita, diventa l’espressione del detto popolare “canta che ti passa”.

No, cari miei, non passa proprio niente! Deve restare amore, comunicare vero amore, prendersi cura per amore del mondo intero. Chi loda ha la responsabilità per il mondo!

Se cantiamo Alleluia è come se dicessimo a Dio: “Signore, ci pensiamo noi”. “Conta su di noi” “Non ti deluderemo”. “Terremo vivo forte nella lode il tuo amore per amare, per andare e amare”.

Chi loda aspira a fare:

  • del mondo la scena dell’amore ferito dell’Amato;
  • della Chiesa la sposa tutta bella perché segnata dalle brutture della storia;
  • dell’uomo il palcoscenico dello Spirito Santo sempre sfidato e combattuto dallo spirito del mondo.

Chi loda entra nel grande combattimento dell’amore non amato, del portare all’amore tutto ciò che non è amato, a svergognare il non amore, il falso amore, il comodo amore, il narcisistico amore, lo sterile amore, tutti amori che vengono dal maligno.

Chi loda non sa che amare; è impastato d’amore; è amore. Perché Dio è amore.

La sostanza della lode è l’amore;

la forma della lode è l’amore;

il ritmo della lode è l’amore;

la melodia mai udita è scritta oggi da te come un salmo di Davide, è la mia vita, la tua vita, che ama, che sempre ama, che tutti ama.

La lode è l’eccedenza dell’amore, è l’esperienza di quella gratuità che ci fa capire il “senza misura” dello Spirito, che fa di noi persone speciali, dei nostri gruppi luoghi speciali, potenza di vita nuova, effusione dello Spirito d’amore.

Roba da non crederci se non fosse vero! Anzi, la sola verità in cui siamo formati e riformati dallo Spirito, per rendere vero e autentico questo nostro AIWM.

Possiamo allora risentire le parole di San Giovanni:

“Noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha per noi” (1 Gv 4, 16a.) e farne davvero una ragione di vita, il passo della nostra vita nuova nello Spirito.

      Alleluja!

                 Salvatore Martinez

Roma, 27 settembre 2020

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