Lo scorso 8 dicembre si è concluso l’Anno che la Chiesa ha dedicato a san Giuseppe, nel 150° della proclamazione dello sposo di Maria, patrono della Chiesa universale. Cogliamo l’occasione per una riflessione a puntate, condotta da don Davide Maloberti, sui temi della chiamata, della paternità, della scelta, della vocazione. Partendo da un altro, grande padre: Abramo.
Partiamo da Abramo
Per entrare nel clima di questo percorso sul ruolo del padre, partiamo da uno dei primi papà che la Bibbia ci fa conoscere: Abramo. Una storia complicata, la sua, che Papa Francesco ha riportato all’attenzione del mondo intero con il suo pellegrinaggio in Iraq, nel 2021.
Alla piana di Ur, nel marzo del ‘21, Francesco prese parte a un incontro interreligioso con i rappresentanti musulmani, cristiani ed ebrei. Nella preghiera finale, fu innalzata al Cielo l’invocazione all’unico Dio: «Sostienici nella ricostruzione di questa terra, dacci la forza per avviare una nuova vita». Solo l’amore vero è la via della pace.
Da Ur il Papa ha parlato alle nuove generazioni. «Riscoprirsi fratelli: questa è la via, soprattutto per i giovani, che non possono vedere i loro sogni stroncati dai conflitti del passato! È urgente educarli alla fraternità, educarli a guardare le stelle, (le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa, n.d.r.). È una vera e propria emergenza; sarà il vaccino più efficace per un domani di pace. Perché siete voi, cari giovani, il nostro presente e il nostro futuro!».
Tante domande lungo il viaggio
Ma chi era Abramo? Viveva insieme al clan di suo padre Terach nei dintorni di Ur, una grande città fortificata, fiorente nei commerci, costruita dai Sumeri. Qui si adorava il dio Luna a cui era dedicata una torre alta 64 metri al centro della città. Terach e Abramo erano, di fatto, sceicchi seminomadi che si dedicavano all’allevamento di piccolo bestiame. Non erano affatto dei “primitivi” come saremmo tentati di pensare, ma molto probabilmente erano espressione di gruppi altamente civilizzati pronti a colonizzare terre lontane.
Di strada ne fanno parecchia quando Terach, il capofamiglia, decide di partire con tutta la sua famiglia per Harran, a mille chilometri da Ur. Anche ad Harran c’era il culto del dio Luna. Per quel viaggio impiegarono parecchi anni. Lungo il percorso ritrovano molte di quelle torri come ad Ur, innalzate dal desiderio dell’uomo di arrivare al Cielo. Il clima in cui cresce Abramo è fortemente politeista; nella sola Babilonia, ad esempio, si contavano ben 5mila divinità.
Quelle torri suscitano quasi sicuramente in Abramo domande profondi: dove sto andando? che cosa cerco nella mia vita? Gli sarebbero bastati i mille e mille dèi che aveva intorno o c’era qualcosa di più nel Cielo?
Per chi è giovane, ma non solo, la domanda più vera riguarda la vocazione: la vita è solo mia o c’è Qualcun Altro con cui dialogare per capire dove dirigermi oggi e in futuro, che cosa studiare, che cosa vuol dire innamorarsi.
Il nostro bagaglio di partenza
Terach non avrà fatto lunghi discorsi per convincere il figlio a seguirlo. Glielo dice e basta. Anche noi nasciamo e cresciamo inseriti in una storia. Bella o brutta che sia è la nostra storia, fatta di aspirazioni ma anche di ferite che a volte ci possono sembrare insuperabili. Non decidiamo noi di entrare in quella storia, ma ci troviamo in quella famiglia perché siamo nati lì.
Io ho sempre vissuto in una casa abbastanza piccola e quando, da ragazzo alle superiori, andavo a studiare a casa dei miei compagni di classe, ero colpito dalle loro case grandi: grandi stanze, grandi librerie, perfino la palestra con il ping pong. Abbiamo avuto storie diverse. La storia che ereditiamo è il nostro bagaglio per il viaggio della vita con cui fare i conti. A volte, come ha fatto il Papa, occorre tornare ad Ur, alle origini, per capire le cose più a fondo, riconciliarci e ripartire nella pace.
Si riparte sempre!
Arrivati ad Harran, con la morte del padre, Abramo diviene il capofamiglia. A lui spettava la decisione di che cosa fare a quel punto del loro viaggio. Avrebbe potuto fermarsi e vivere tranquillo vicino alla tomba del padre, accanto alla torre del rassicurante dio Luna.
È a questo punto che Dio gli si fa incontro e inizia un dialogo nuovo con lui e con gli uomini e le donne di ogni tempo. Ad Abramo non chiede di rinunciare a nulla, non vuole che lasci la moglie e il lavoro per seguirlo. Gli chiede “semplicemente” di ricominciare da capo nella vita, di reimpostare la scala delle cose che contano. C’è Qualcuno più grande di lui che lo pensa, che lo vuole felice e lo ama.
Abramo, che ha una ditta fiorente ma si ritrova senza figli, desidererebbe tanto abbracciare un bambino tutto suo, frutto della storia di amore con Sara. Dio lo invita di nuovo a partire: “Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione”.
Le scorciatoie umane
Abramo parte ma quel figlio non arriva mai. Pensa di abbreviare l’attesa facendo un figlio con la sua schiava, Agar. Anche la moglie Sara è d’accordo. Forse non sopportava più quei “sogni” del marito che diceva di fidarsi di un Dio che gli aveva parlato. E allora lo invita ad arrangiarsi come può.
Ma Dio insiste, non vuole che l’uomo si accontenti, vuole dargli di più, dargli tutto, dargli un figlio, come accadrà duemila anni dopo attraverso il “sì” di Maria, che donerà il proprio Figlio: «”Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle” e soggiunse: “Tale sarà la tua discendenza”. Abramo credette al Signore» (Gen 15, 5-6).
Abramo aveva avuto il coraggio di ripartire. Il viaggio voluto dal padre era prettamente commerciale: cercare nuove terre. Il suo è invece guidato dalla voce di Dio e dal desiderio di ricevere da Lui la gioia, la vita, l’abbraccio di moglie e figlio, di generare addirittura un grande popolo. Il bambino che nascerà si chiamerà Isacco che significa “sorriso di Dio”. È una gioia inattesa, un autentico dono di Dio. Abramo ha detto “sì” e Dio si è messo all’opera.
0 commenti