A Firenze, in un’atmosfera di comunione per realizzare nuove vie di dialogo e di pace, è intervenuto anche il prof. Giuseppe Argiolas, Rettore dell’Istituto Universitario Sophia, che il 25 febbraio ha illustrato il secondo tema al centro dei lavori dell’Incontro: “Quali doveri per le comunità religiose nella città?”.
Sapere e non fare equivale a non sapere
Nel suo intervento, il prof. Giuseppe Argiolas ha offerto alcune riflessioni introduttive alla giornata, articolate in quattro punti: nel primo, si è cercato di delineare quel fondamentale dovere che Papa Francesco definisce “dovere di toccare”; nel secondo ha individuato il dovere di “camminare insieme”; nel terzo punto ha approfondito il «fondamento e il significato di questi “doveri” nel “patto di fraternità”» per approdare, in conclusione, all’urgenza di un patto educativo globale.
L’arrivo del Covid-19 ha determinato inevitabilmente un “prima” e un “dopo”; il mondo globale, le sue sfide, le sue crisi, per la loro complessità, necessitano di un nuovo approccio orientato alla condivisione delle conoscenze disciplinari, conseguentemente alla condivisione e al dialogo tra le persone. Diventa così indispensabile – ha continuato Argiolas – «una sana educazione al dialogo che metta al centro la persona e la qualità delle relazioni».
Le difficoltà del nostro tempo, del resto, hanno determinato una vera e propria “sindemia”, l’interazione cioè tra più patologie e condizioni socio-economiche e ambientali disagevoli. Da qui l’aggravamento di povertà già preesistenti che, con l’affermarsi della pandemia, hanno segnato l’inizio di un’ulteriore piaga sociale: quella di povertà materiali, relazionali, esistenziali e culturali.
È questo il tempo di non essere più sordi e schivi al “grido dei poveri”: quella “carne viva” va “toccata”, come ha ricordato Papa Francesco. «“Toccare” significa compromettersi, non solo “pensare”, ma “sentire” per essere capaci di “agire”… (cf Lc 10, 25-37); il Papa ci ricorda che “sapere” qualcosa è condizione necessaria ma non sufficiente per agire; in altre parole: sapere e non fare, equivale a non sapere affatto». Siamo dunque chiamati a una complementarietà tra pensiero e azione delle diverse conoscenze. Solidarietà e comunione devono tradursi nel «fare spazio all’altro e ricevere spazio nell’altro, in una condivisione di valori, motivazioni, azioni, talenti e intenti fino a sperimentare una libera co-appartenenza» (G. Argiolas, Il valore dei valori. La governance nell’impresa socialmente orientata, Città Nuova, Roma 2014).
Camminare insieme
A fare da caposaldo al secondo “dovere” su cui ha riflettuto il prof. Argiolas è stato ancora una volta il pensiero dell’ex sindaco di Firenze, Giorgio La Pira: è necessario “camminare insieme”, come il cammino di sinodalità intrapreso recentemente dalla Chiesa cattolica.
Partendo dalla propria comunità di fede, dobbiamo creare cooperazione e unità con le realtà ai vari livelli più alti, come il proprio quartiere, per poi arrivare a coprire l’intera città. Ogni uomo, infatti, secondo il pensiero di La Pira, «è radicato nella città, come l’albero nel suolo». «…Proprio per questa relazione vitale e permanente fra la città e l’uomo, la città è lo strumento appropriato per superare tutte le possibili crisi cui la storia e la civiltà vanno sottoposte» (Le città non possono morire, Convegno dei sindaci della città capitali del mondo, 2 ottobre 1955).
“Camminare insieme” aumenta la capacità di pensare e agire perché «nel marciare insieme nasce e cresce un’intelligenza capace di andare incontro alle specifiche esigenze della propria città, praticando quella solidarietà che assume e si fa carico delle povertà, delle sfide, dei dolori…», ha detto Argiolas. «Andare avanti insieme – come ha affermato Papa Francesco, significa sperimentare “un’unità multiforme che genera nuova vita”» (cf FT, n. 245). Ma per rendere concreta questa comune prospettiva di comunione nella città, dobbiamo tornare alla radice profonda che è il “patto di fraternità”.
Il patto di fraternità: un orizzonte da perseguire
Il patto di fraternità implica l’osservanza di alcuni “doveri” imprescindibili.
Secondo Papa Francesco «il patto è la chiave di volta della creazione e della storia, come ci insegna la Parola di Dio: il patto tra Dio e gli uomini, il patto tra le generazioni, il patto tra i popoli e le culture… Tutto è in relazione con tutto, tutto è creato per essere icona vivente di Dio che è Trinità d’Amore! È oggi compito prioritario, dunque, educarci a vivere questo patto, anzi a “essere” questo patto vivo in tutte queste dimensioni… Questa vocazione alla fraternità, questo vivere in fratellanza oggi è indispensabile, non si può camminare senza di essa» (Discorso alla Comunità accademica dell’Università Sophia di Loppiano, 14 novembre 2019).
A questo proposito, Argiolas ha individuato “tre nature” del patto: una natura disposizionale (disposizione, volontà esplicita nel perseguire quanto espresso nel patto stesso); una natura fattuale (la necessaria corrispondenza tra quanto dichiarato e quanto realmente attuato) e una esperienziale (sperimentare concretamente su se stessi gli effetti di comportamenti coerenti, come la solidarietà).
Conseguenza del “patto” è la fraternità, una vita all’insegna dell’amore reciproco, che nella città si manifesta nei doveri (a diversi livelli) delle diverse comunità religiose, orizzonte della vita sociale verso cui rivolgere il nostro cammino (cf Documento di Abu Dhabi, 4 febbraio 2019, e Fratelli tutti di Papa Francesco).
Il patto educativo globale
L’amore reciproco che scaturisce dal patto di fraternità «si declina e prende forma in diversi aspetti: nell’economia, nella politica, nelle relazioni internazionali, nella comunicazione, nella salute (personale, sociale e del creato), nella bellezza, nella cultura», ha sottolineato Argiolas. Ne deriva così che la povertà materiale può essere compensata dal lavoro e non più dallo sfruttamento; l’ingiustizia sociale diventa mezzo di umanizzazione (come ha ricordato Papa Francesco nell’Udienza generale del 12 gennaio 2022). La povertà esistenziale può essere ricolmata dall’incontro dell’anima con Dio. «La povertà culturale, che c’impedisce di “camminare insieme”, può essere placata da una formazione culturale e un’educazione integrale e permanente».
La sfida del Mediterraneo, «come ogni autentica sfida globale, richiede di essere affrontata localmente, con intelligenza e consapevolezza, con lo sguardo spalancato sull’orizzonte dell’umanità intera. Solidità a questo processo potrà venire solo da un patto educativo globale che metta al centro l’umana fratellanza e faccia, del dialogo fra tutti… via, cammino per avanzare». È la stessa “sfida educativa” di cui parla spesso anche Papa Francesco che necessita un consapevole impiego di risorse economiche per l’educazione, fermezza del dialogo orientato dall’amore reciproco, e passione.
Concludendo, il Rettore dell’Università di Sophia ha esortato il mondo cristiano «ad annunciare e testimoniare che “Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini» (Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, op. cit. § 52).
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