Un luogo a dir poco significativo, il Santuario di Santo Spirito in Sassia: il più antico ospedale e luogo di accoglienza d’Europa dove, già dall’VIII secolo, trovavano ristoro pellegrini e ammalati in fuga dalle loro terre, gremito oltre ogni aspettativa nonostante il maltempo di questo aprile bizzarro ancora condizionato dalla pandemia. E, soprattutto, una giornata particolare: il 24 aprile, domenica della Divina Misericordia e, per gli ortodossi, cristiani d’Oriente, il giorno in cui si festeggia la Pasqua. Il Rinnovamento nello Spirito Santo, coniugando spazio e tempo di sacralità, mentre soffiano violenti venti di guerra e si assiste a una delle crisi umanitarie più drammatiche del secolo, ha voluto invocare così la pace tra Russia e Ucraina, promuovendo una speciale Veglia di preghiera dal titolo «Una preghiera per l’Europa», invitando i rappresentanti delle principali Istituzioni che sovrintendono alla vita delle realtà civili, politiche, militari ed ecclesiali che, a vario titolo, sono coinvolti e impegnati per la risoluzione del conflitto. A ciascuno di loro la richiesta di pregare, in unità, e di dare voce alle grandi speranze che sono nel cuore della gente, perchè si depongano le armi in Ucraina e nei teatri di guerra e si costruiscano sempre più ponti di fratellanza umana e carità concreta. L’iniziativa, trasmessa in diretta dai canali Social del RnS, è stata intervallata dai canti più conosciuti del Movimento a cura del Servizio Musica e Canto del Lazio, capaci di emozionare quanti hanno partecipato in presenza e in collegamento Web in questa Ottava di Pasqua. Al centro del Santuario, una croce con drappi bianchi e rossi a indicare la risurrezione e il cero pasquale, come segno di speranza nella fede, in omaggio all’immagine tradizionale di Gesù misericordioso, causa della Divina Misericordia Sullo sfondo, le parole pronunciate al mattino da Papa Francesco all’Angelus, per invocare instancabilmente una tregua.
È Paola Rivetta, giornalista e conduttrice del Tg5, a introdurre il momento, spiegandone senso e contenuti in questo “incrocio” di date non casuale: «Lo scorso anno fu “Una preghiera per l’Italia», presso la Basilica dei XII Apostoli: il flagello del Covid-19 appariva come una croce piantata nel cuore della storia umana. Gesù è risorto, come abbiamo cantato, eppure, gli effetti della risurrezione sembrano mancare in tanti luoghi della terra dove prevale lo spirito di morte. Questa sera anche noi vogliamo rifugiarci nel cuore misericordioso di Dio e invocare “pace”, la pace come dono dello Spirito Santo».
Quindi, la parola al Rettore della chiesa di Santo Spirito in Sassia, mons. Jozef Bart, ricordando la profezia che questo luogo custodisce, in omaggio a suor Faustina Kowalska e san Giovanni Paolo II, nel ventesimo anniversario dell’istituzione della Festa e della dedicazione del Santuario della Divina Misericordia di Cracovia da parte di Wojtyla: «Ad accogliervi qui è Gesù risorto, il Figlio di Dio misericordioso. Sì, è tempo di vegliare, di non far dormire la nostra fede, ma di invocare con forza la pace, che è prima di tutto una manifestazione della misericordia. I nostri cuori ora sono rivolti al Signore e il Signore li volge verso il cuore dell’Europa cristiana, nella terra martoriata di Ucraina. Ho ripensato alle parole di suor Faustina, del 16 dicembre del 1936. Ella dice: “La giornata odierna l’ho offerta per la Russia; tutte le mie sofferenze e preghiere le ho offerte per quel povero Paese… Oh, quanto soffro per questa Nazione, che ha espulso Dio dai propri confini!”. Dobbiamo rimpatriare Dio nella storia, non possiamo permettere che il Dio della pace sia estromesso dalla violenza umana. Dio soffre con chi soffre. Dio spera con chi spera. Vogliamo allora pregare, perché il Signore ci faccia grazia, perché il mondo trovi la pace e l’uomo la felicità».
Subito dopo, l’intervento introduttivo della Preghiera di Salvatore Martinez, Presidente nazionale del RnS, che ha fortemente voluto questo gesto di comunione e ne ha introdotto il significato. «La misericordia sembra arrancare, la preghiera appare a molti “roba da preti e da bigotti”, per dirla con don Luigi Sturzo al tempo della persecuzione fascista – ha affermato il Presidente -, mentre la pace sembra ridursi a una immagine da colorare nelle scuole primarie. L’aria è ammorbata dallo spirito di morte. Cosa vogliamo farne della risurrezione di Cristo? Possono risorgere la politica, l’economia, la scienza, la cultura? Una “preghiera per l’Europa”: questo, intanto, possiamo fare, perché non dobbiamo delegare al Cielo la responsabilità di ciò che sta accadendo sulla terra». E, citando il Santo Padre, che nel Regina Coeli dello stesso giorno ha chiesto a tutti «di manifestare che la pace è possibile», Martinez ha evidenziato che questa stessa pace «è possibile, ma ha un costo, ha un prezzo da pagare. La pace non si fa gratis, reclama sacrificio, costa la rinuncia all’egemonia del potere, costa il prezzo della fraternità umana, il prezzo della scomposizione delle nostre idolatrie. Per essere uomini di pace occorre stare nell’orizzonte di Dio». «È crisi della pace – ha proseguito – perché e in crisi la vita spirituale. Prima che di crisi economica, politica, morale, il nostro tempo è in deficit di vita spirituale. Dobbiamo tornare a parlare della siccità di valori dello Spirito che sta attraversando il cuore dell’uomo, ma ancora più evidentemente le strutture umane e le agenzie educative. Chi prega, veramente, ha una diversa intelligenza della realtà e gode dell’eredità di una saggezza antica, quanto antica è la Parola di Dio che ci mette in guardia dal far discendere un bene da un male, la sicurezza dall’aggressione, la pace da un conflitto. Pregando ci ritroviamo miracolosamente più uniti, più ispirati, più disponibili, più solidali, più prodighi, più capaci. In definitiva, pregare è il modo migliore per incarnarsi. Sì, sono gli uomini e le donne della preghiera i veri difensori dei valori più autentici dell’umanità, perché è nella preghiera che la coscienza vuole il vero bene, la vera libertà e fa della terra un vero spazio di fraternità e di condivisione dell’amore».
I volti, le testimonianze e le lampade accese, per “illuminare” la speranza
Questa stessa intenzione ha preso poi forma attraverso i volti delle Autorità e dei testimoni che sono intervenuti nella preghiera, accendendo, ciascuno, un lume e manifestando così il personale impegno a essere luce nel mondo, simbolo di risurrezione della croce. Per primo, il prof. Antonio Gasbarrini, Direttore del Dipartimento di Medicina interna e Coordinatore dei percorsi specialistici Covid-19 del Policlinico Universitario Gemelli di Roma, in rappresentanza del mondo sanitario e scientifico, con la certezza che «Dio non è lontano dal grido di chi soffre, di chi muore, di chi invoca guarigione, liberazione, salvezza» e che «mai come in questi due anni di pandemia, gli Stati del mondo sono stati sfidati dal dovere di dare primato al “diritto alla salute”, specie dinanzi ai più poveri e ai più bisognosi della terra», chiedendo a Dio di benedire «quanti sono chiamati a prendersi cura dei sofferenti, con la stessa passione del Buon Samaritano, che non si risparmiò nel servizio all’uomo colpito dalla sventura».
A nome delle organizzazioni umanitarie e caritative ha parlato il dott. Roberto Nannerini, Cavaliere di Grazia e Devozione, vice Delegato della Delegazione Roma del Sovrano Ordine di Malta, con la supplica di «rendere ancora più generoso il nostro cuore, perché un numero sempre più alto di persone possano prendersi cura delle donne, delle vedove, dei bambini, degli orfani, degli anziani che fuggono dall’Ucraina e che arrivano adesso nei nostri Paesi europei e in Italia».
Proprio loro, le donne ucraine, al leggio in numero di quattro, sono state poi le protagoniste, fuggite da Kiev, della prima, toccante testimonianza, in rappresentanza dei profughi accolti in un Centro di accoglienza della Caritas di Roma. «Siamo arrivate da vari Paesi del mondo – hanno spiegato -, tutti diversi per provenienza, culture, credenze e lingue. Ma siano uniti dalla sofferenza e dal dolore vissuti, a partire dall’avere dovuto lasciare le nostre case e le nostre famiglie. Prima di tutto, siamo donne, siamo figlie, siamo sorelle e mamme, e siamo unite nello spirito divino della continuità della vita stessa. Le donne profughe ucraine hanno un ruolo non meno eroico degli uomini che stanno difendendo la patria e la giustizia: noi stiamo difendendo il nostro futuro, rappresentato dalle persone anziane, il passato, e dai bambini, il futuro, che abbiamo portato qui con noi, scappando dalla guerra. Le donne profughe hanno un tesoro inestimabile: lo Spirito Santo e la preghiera, grazie alla fede nel Signore. E il Signore risponde sempre!». Evidente, in tutti, l’emozione nell’ascoltare come, dal buio della disperazione tra i binari della stazione, sia sgorgata una luce: «Nell’oscurità, ad un certo momento abbiamo preso le mani l’una dell’altra, cercandoci negli occhi abbiamo deciso di recitare il Padre Nostro a voce bassa, ma talmente forte che faceva battere i nostri cuori: quando abbiamo riaperto gli occhi ci sembrava di trovarci in un’atmosfera diversa, una realtà che era la stessa, ma distinta da prima, dove tutto sembrava più calmo e sereno. La preghiera ci ha portato fuori dal pericolo, abbiamo visto e vissuto la divina presenza del Signore e del suo Spirito in quel difficile momento, ma vediamo la Sua azione ogni giorno, attraverso la fraternità e l’appoggio dei cuori di tante persone che hanno aperto le porte dell’Italia e della propria casa».
A nome delle Istituzioni politiche, in particolar modo di quelle europee, è stato l’on. Antonio Tajani, già Presidente del Parlamento Europeo, già Commissario europeo e attuale Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Commissioni, chiedendo al Padre di concedere «a tutti i politici, specie a coloro che in queste ore sono chiamati a decidere per la pace, una nuova umiltà, una nuova responsabilità a servizio della verità e della giustizia», custodendo le «tante ricchezze spirituali, materiali, produttive, artistiche, culturali, turistiche» elargite alla nostra Europa.
A rappresentare tutte le Forze armate e le Forze di Polizia, in particolar modo l’Esercito, è stato il col. Dario Porfidia, pregando a nome di quanti, armati, devono spesso ricorrere all’uso delle armi, chiamati ad assicurare l’ordine, la sicurezza, il rispetto delle leggi e dei codici, a disarmare i nemici, a mettere la propria vita a servizio della pace, dinanzi alle forze disgregatrici del male, della violenza, del terrore, dei crimini».
Voce poi a tutti i media impegnati in prima linea nella “trincea” dell’informazione che stanno svolgendo un ruolo di imprescindibile valore nell’avvicinarci ai drammi delle guerre, svelando all’umanità, come nei tragici teatri di Mariupol e Bucha, l’atrocità delle barbarie umane. Per conto di tutti i reporter fotografi, inviati, operatori dei media tradizionali e dei nuovi social media. che rischiano ogni giorno la vita, ha rivolto dunque una preghiera Alessandro Guarasci, giornalista di Radio Vaticana, che si è recato personalmente al confine ucraino, tra i profughi: «Mai, come nella guerra in corso – ha affermato -, siamo entrati così diffusamente nelle case e nel cuore della gente. Grazie all’uso delle nuove tecnologie possiamo raccontare i fatti come mai prima in passato, possiamo rendere visibile e udibile tutto ciò che prima rimaneva nascosto, segreto. Ti chiediamo, Padre misericordioso, che la Tua protezione sia su tutti coloro che rischiano la vita per dire la verità, per essere profeti del vero in mezzo a tanta malvagità, uomini e donne disarmati, che raccontano la vita dei popoli tra cecchini e diffusori di morte, come in Ucraina e negli altri conflitti».
Spazio, inoltre, a due voci del mondo ecclesiali di assoluto rilievo. Prima, mons. Dionisio Ljachovic, Esarca apostolico d’Italia per i cattolici ucraini, ossia il Vescovo voluto da Papa Francesco in rappresentanza della nutrita comunità ucraina in Italia, ora cresciuta in numero per l’arrivo dei tanti rifugiati (circa 100mila), il quale, ricordando l’enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco, ha prestato parola a tutti i religiosi, ma anche «a tutti i missionari consacrati e laici che, ogni giorno, in special modo in questo tempo, vivono il comandamento dell’amore del prossimo senza paura di farsi piccoli con i piccoli fino a dare la vita», invocando lo Spirito Santo affinchè faccia «risorgere nei nostri cuori la preghiera, la gioia, la comunione, la fedeltà alla Parola di Dio e i santi doni e carismi».
Quindi, padre Gheorghe Militaru, Vicario generale della Diocesi Ortodossa Romena d’Italia, in rappresentanza di cristiani ortodossi e d’Oriente, riuniti nella stessa ora per le celebrazioni della Pasqua nell’Oriente cristiano: «Oggi Cristo è Risorto, è veramente risorto, Alleluja! Come tacere il nostro dolore dinanzi a tanti cristiani, a tanti nostri fratelli di Ucraina e di Russia che sono nel Calvario di Gesù. Eppure, Cristo è Risorto e risorgerà ancora. Risorgerà sempre e concederà il dono della pace alle nostre comunità segnate da diaspora, da fughe, dalla paura di vivere e di morire. Vogliamo che Gesù vinca sulle nostre divisioni, su tutte le denominazioni cristiane che non praticano l’unità dello Spirito e la comunione ecclesiale».
Nel mezzo delle due intenzioni, un’altra coinvolgente testimonianza, tradotta da una connazionale presente da anni nel nostro Paese, da parte di una giovane famiglia ucraina, proveniente dalla martoriata Kharkiv. Ortodossa lei, musulmano lui, due bambini piccoli, con i loro sguardi, assieme alle parole, hanno raccontato un incubo senza fine prima dell’approdo in Italia, nel terrore dei bombardamenti subiti giorno e notte e nella ricerca dei medicinali e dei viveri, in attesa che torni presto la pace.
Una Chiesa unita, chiamata a «non far mancare gli effetti della risurrezione»
Al termine della «Preghiera per l’Europa» è stato il card. Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, a portare il proprio messaggio prima della benedizione finale, invitando i presenti a pregare insieme il Padre Nostro e ripetendo alcune espressioni dell’Atto di Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, elevato al Cielo dal Pontefice il 25 marzo scorso. «Siamo chiamati ad avere fede – ha dichiarato il Cardinale -, a dare slancio alla nostra fede, a non far mancare gli effetti della risurrezione nelle vicende travagliatissime del nostro tempo. Questa sera abbiamo riscoperto il bisogno di fraternità, di stare insieme e di pregare insieme. Sì, abbiamo bisogno di riconoscerci fratelli e sorelle del Risorto, noi tutti credenti diversamente impegnati nelle Istituzioni che reggono la vita sociale e l’avvenire della nostra gente. La nostra unità, la nostra collaborazione, la nostra dedizione al prossimo sono la soluzione ai mali della storia e il vero modo di autenticare la nostra comune fede nella misericordia, che promana dal Cristo Risorto». E, proprio in questo particolare giorno, Semeraro ha voluto citare la visita che san Giovanni Paolo II fece al Santuario della Divina Misericordia di Cracovia (il 7 giugno 1997), in cui ebbe a dire: «Il messaggio della Divina Misericordia mi è stato sempre vicino e caro. È come se la storia lo avesse inscritto nella tragica esperienza della Seconda Guerra mondiale. In quegli anni difficili esso fu un particolare sostegno e una inesauribile fonte di speranza, non soltanto per gli abitanti di Cracovia, ma per la nazione intera. Questa è stata anche la mia esperienza personale, che ho portato con me sulla Sede di Pietro e che, in un certo senso, forma l’immagine del mio Pontificato. In nessun momento e in nessun periodo storico – specialmente in un’epoca così critica come la nostra – la Chiesa può dimenticare la preghiera, che è il grido alla misericordia di Dio dinanzi alle molteplici forme di male che gravano sull’umanità e la minacciano». Il rimando immediato è all’attualità e a Papa Francesco che, sin dall’inizio del suo Pontificato, «ha voluto imprimere alla Chiesa il passo spedito della misericordia, la logica rivoluzionaria e risolutiva della misericordia divina». «Il tempo pasquale – ha concluso il Prefetto, «è il cuore della misericordia salvifica di Dio. Non possiamo vivere questo nostro tempo fuori dalla logica della risurrezione. Se scandalo è ancora la croce di Cristo, tanto più lo è una fede che non si alimenta dello spirito pasquale. San Paolo è chiaro al proposito: “Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati” (1 Cor 15, 17)».
Con questo spirito e questa “connessione” spirituale così forte ed ecumenica si è conclusa la Veglia, con l’auspicio vivo che l’Italia, con le sue città, Istituzioni e tradizioni, l’Europa e il mondo intero proclamino la vittoria della pace sull’odio, della riconciliazione sull’inimicizia, della fraternità sull’orgoglio umano, a partire da questo piccola, universale preghiera intonata in questa domenica. Imitando sempre l’esempio di suor Faustina e guardando il celebre dipinto realizzato secondo le sue stesse, precise istruzioni dal pittore Eugenio Kazimirowski, con quell’espressione scolpita nei cuori di tutti noi credenti: «Gesù, confido in Te!»
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