Il Messaggio della CEI per la 17 Giornata Nazionale per la Custodia del Creato e per il tempo del Creato

Reca la data del 24 maggio 2022, settimo anniversario dell’Enciclica Laudato si’, e si intola «”Prese il pane, rese grazie” (Lc 22,19). Il tutto nel frammento» il Messaggio diffuso dalla Commissione episcopale per i Problemi sociali e il Lavoro, la Giustizia e la Pace e la Commissione episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo della CEI per la 17^ Giornata Nazionale per la Custodia del Creato (1° settembre 2022) e per il tempo del Creato (1° settembre – 4 ottobre 2022). Da un termine che «ci sembra scontato» perché «talmente “quotidiano” da non attirare il nostro sguardo» scaturisce una riflessione «in comunione con la Chiesa che è in Italia e che a Matera si prepara a celebrare il Congresso Eucaristico Nazionale dal titolo: “Torniamo al gusto del pane. Per una Chiesa eucaristica e sinodale”». «Ogni pezzo di pane – si legge nella prima parte del Messaggio  – arriva da lontano: è un dono della terra. È lei che ha prodotto il grano. Il contadino lo sa: ara, prepara il terreno, semina, irriga, miete… ma non è lui a produrre quei chicchi dorati. Anche oggi, nell’epoca della meccanizzazione, della grande distribuzione e della panificazione industriale, il pane rimane ciò che è da sempre. E quand’anche i ritrovati della tecnica soppiantassero la sapienza contadina e i talenti artigianali, il pane continuerebbe a parlarci della sua identità più profonda: quello di essere un’offerta della terra, da accogliere con gratitudine. Quando Gesù prende il pane nelle sue mani, accoglie la natura medesima, il suo potere rigenerativo e vitale; e, dicendo che il pane è “suo corpo”, Egli sceglie di inserirsi nei solchi di una terra già spezzata, ferita e sfruttata. […] Gesù si fa dono, abilitando ciascuno di noi a spendersi per custodire la terra, per prendersi cura di un’umanità sofferente». Il testo, poi, rimanda ancora al miracolo eucaristico, evidenziando che «Gesù, dopo aver preso il pane nelle sue mani, pronuncia le parole di benedizione e rende grazie. È la gratitudine il suo atteggiamento più distintivo, nel solco della tradizione pasquale.» Essere grati è, dunque, l’attitudine fondamentale di ogni cristiano, è la matrice che ne plasma la vita; più radicalmente, è la cifra sintetica di ogni essere umano: siamo tutti “un grazie che cammina”. Nel cammino sinodale facciamo esperienza che l’altro e la sua vita condivisa sono un dono per ciascuno di noi». Inoltre, «chi non è grato non è misericordioso. Chi non è grato non sa prendersi cura e diventa predone e ladro, favorendo le logiche perverse dell’odio e della guerra. […] Chi non è grato, può trasformare una terra ricca di risorse, granaio per i popoli, in un teatro di guerra, come tristemente continuiamo a constatare in questi mesi». Si fa poi riferimento al gesto dello spezzare il pane che «la domenica, Pasqua della settimana, è per i cristiani rinnovamento ed esercizio di gratitudine, per apprendere a celebrare la festa e tornare alla vita quotidiana capaci di uno sguardo grato. Come afferma Papa Francesco: “Siamo chiamati a includere nel nostro operare una dimensione ricettiva e gratuita, che è diversa da una semplice inattività. Si tratta di un’altra maniera di agire che fa parte della nostro essere. In questo modo l’azione umana è preservata non solo da un vuoto attivismo, ma anche dalla sfrenata voracità e dall’isolamento della coscienza che porta a inseguire l’esclusivo beneficio personale. La legge del riposo settimanale imponeva di astenersi dal lavoro nel settimo giorno, “perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero” (Es 23,12). Il riposo è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua luce sull’intera settimana e ci incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri”» (LS 237). Infine, la condivisione, in quanto «riceviamo dalla terra per condividere, per diventare attenti all’altro, per vivere nella dinamica del dono. Riceviamo vita per diventare capaci di donare vita», conclude il testo ricordando che «la condivisione così può diventare stile di cittadinanza, della politica nazionale e internazionale, dell’economia: da quel pane donato può prendere forma la civiltà dell’amore. Torniamo, dunque, al gusto del pane: spezziamolo con gratitudine e gratuità, più disponibili a restituire e condividere. Così ci è offerta la possibilità di sperimentare una comunione più ampia e più profonda: tra cristiani anzitutto, in un intenso respiro ecumenico; con ogni credente, proteso a riconoscere la voce di quello Spirito di cui la realtà tutta è impastata; con ogni essere umano che cerca di fondare la propria esistenza sul rispetto delle creature, degli ecosistemi e dei popoli».

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