A colloquio con il Direttore esecutivo, Maurizio Misitano, per scoprire insieme la natura di questa realtà e i progetti sociali realizzati con i fondi 8xmille
Maurizio Misitano è Direttore esecutivo della Fondazione Agostiniani nel Mondo. Tra un impegno e l’altro in agenda lo raggiungiamo per un’intervista da ospitare nel nostro sito, sulla scia delle emozioni scaturite dall’elezione del nuovo Pontefice, Leone XIV, “umile e disponibile con chiunque”. L’impegno di Misitano sul fronte missionario e il racconto, anche personale, di come nascono e si strutturano i progetti sociali finanziati dai fondi dell’8xmille, rappresentano l’occasione per fare luce sull’importanza di una semplice ma fondamentale firma, e sui gesti solidali che ognuno di noi può mettere in atto per il bene della Chiesa e degli ultimi.
“Siamo una Fondazione giovane e piccola ma con 750 anni di storia alle spalle e operatori umanitari in 50 Paesi del mondo”, si legge nel vostro sito. Carta, anzi Web parla. Dottor Misitano, per chi non conosce questa realtà: partiamo dalle origini, da dove e come nasce la Fondazione…
Ufficialmente la Fondazione Agostiniani nel Mondo Ets (www.osafund.org) vede la luce nel dicembre 2014, anche se un primo “germoglio” si intravedeva già ai primi del 2008 circa: con l’allora Priore generale, oggi Pontefice, padre Robert Francis Prevost iniziammo a lavorare insieme, per riflettere, come Curia generalizia dei frati dell’Ordine di sant’Agostino, sulle soluzioni atte a supportare i nostri missionari e le nostre missionarie nei vari progetti sociali. Nasceva così una sorta di “Ufficio centrale” dedicato ai progetti di sviluppo – l’Ufficio per i progetti internazionali dell’Ordine di sant’Agostino, ndr -, mentre in contemporanea ci si concentrava con attenzione la presenza della Curia generalizia alle Nazioni Unite, dove venne poi riconosciuta come Ong in Ecosoc. Un’esperienza durata fino al 2013, quando padre Prevost terminò il suo mandato, e destinata a proseguire successivamente con il nuovo Priore, padre Alejandro Moral. La Fondazione mosse così i primi passi, con il convinto obiettivo di sostenere a livello tecnico ed economico i diversi progetti nelle varie parti del mondo.
Un seme ben gettato, dunque, un sogno accarezzato con umiltà ma altrettanta caparbietà. Con quali sentimenti vi approcciavate a tutto ciò?
Credo, anzitutto, che gli Agostiniani non fossero abituati ad ottenere aiuti sui progetti sociali: certo, ai missionari europei non mancava mai l’apporto amicale e solidale ma il fatto di studiare con sguardo mirato un piano, di presentarlo a soggetti di competenza, anche istituzionali, e di vedersi persino premiati era per loro un’autentica novità. Parliamo chiaramente di cifre importanti. Uno dei progetti che abbiamo realizzato negli anni riguarda la costruzione di una scuola residenziale in Nigeria: l’Ordine stanziò una cifra significativa, ma abbiamo anche ottenuto un finanziamento notevole che ci ha permesso di finalizzare, una delle migliori dello Stato. Così come in Algeria, dove abbiamo ristrutturato la basilica di sant’Agostino anche grazie all’intervento del Governo algerino e fondazioni bancarie. L’approccio custodiva in sé un po’ di inevitabile stupore, ci si apriva ad un orizzonte “inedito”, tuttavia una buona dose di perseveranza e i feedback incoraggianti hanno spazzato via ogni indugio. Parliamo comunque di storie, di persone che hanno bisogno di un aiuto globale per migliorare la propria esistenza. E alla fine, ci facciamo tutti un po’ missionari, accettando situazioni precarie e magari pericolose non certo per lo stipendio ma per portare a termine un nobile scopo.
Dati alla mano, i missionari agostiniani, insieme alle Congregazioni femminili, sono presenti attivamente in ogni Continente. C’è dunque un impegno proiettato a livello nazionale e internazionale: come si declina e si struttura l’opera nel concreto?
La differenza tra charity e sviluppo è questa. La charity è la presenza, l’aspetto più importante della missione; lo sviluppo costituisce l’efficacia nell’operatività. Abbiamo lavorato tanto con i missionari e le missionarie per tradurre le idee, le necessità di partenza in qualcosa di più strutturato. Il primo step, da parte nostra, sta infatti nel mettersi in viaggio, trascorrendo alcuni giorni in loco per capire se ciò che è stato individuato come fine del progetto corrisponde realmente alle priorità del territorio: si tratta di un presupposto che non va mai dato per scontato. Quindi, si studia la gestione, logistica e amministrativa, del progetto stesso finanziato da donatori internazionali. Ogni mese c’è una reportistica dettagliata su come esso avanza, secondo criteri di assoluta trasparenza e tracciabilità. L’intera documentazione è catalogata qui a Roma, con un controllo ulteriore della Curia generalizia.
Guardiamo ora ai progetti sostenuti dai fondi dell’8xmille alla Chiesa cattolica (https://www.8xmille.it/). Può raccontarci, indicandone uno in particolare, come il sostentamento CEI ne ha garantito la piena riuscita?
Con il contributo della Chiesa Cattolica abbiamo attivato complessivamente quattro progetti: uno in Congo, nel 2017, per la costruzione di una scuola a Kinshasa che oggi ospita ben 2500 bambini con un piano di contrasto al lavoro minorile; un altro nel Nord del Congo, terra minata da un conflitto complesso, al fine di ospitare ex bambini soldato occupandoci del loro reinserimento sociale; un terzo, in work in progress, in Kenya per la costruzione di una scuola con un programma dedicato ai bambini con disabilità. Infine, ancora nel 2024 abbiamo iniziato la costruzione di un Istituto comprensivo che assisterà anche i “nostri” ex ragazzi soldato desiderosi di ritornare a scuola. In merito al secondo progetto, volendo raccontare nello specifico il programma pensato per gli ex bambini-soldato, possiamo dire che prende vita dalla Comunità agostiniana presente a Dungu, nella diocesi di Dungu-Doruma. Durante una mia visita nel 2018 notai un frate intento in una riunione con dei giovani: alcuni di loro erano, appunto, ex ragazzi soldato. Succede spesso così: le attività sono già straordinariamente avviate, ma non ci si capacita di quanto sia importante strutturarle adeguatamente. Questo in sostanza è il compito della Fondazione. D’intesa con i confratelli congolesi, con la Curia generalizia e anche con la Provincia Agostiniana di Germania, da cui il Congo dipende, aprimmo pertanto un’indagine locale, facendo tesoro del programma ONU per liberare questi ragazzi e dare loro una prima assistenza fisica e psicologica. Mancava però il passaggio successivo: aiutarli nella ripresa della vita sociale. Nel centro residenziale appositamente costruito e allestito questi giovani venivano assistiti in ambiente protetto, riacquistando piena dignità dopo anni di prigionia e soprusi. L’intervento è stato condotto in maniera professionale e, soprattutto, nel segno della speranza: la vicinanza dei religiosi è stata eccezionale dal punto di vista umano, il recupero della fede e della comunità è merito della dimensione agostiniana. Non dimentichiamo poi quanto possa essere stato fondamentale per loro ritrovare fiducia negli adulti, visti gli abusi e gli sfruttamenti subiti: ascoltare i loro racconti è a dir poco agghiacciante… Oltre al centro, è stata ristrutturata la falegnameria, di proprietà degli Agostiniani, già esistente, dotandola di strumentazione adatta. Ci siamo poi interessati ad un grande appezzamento di terreno intervenendo, con un programma agricolo e attirando l’attenzione di un’azienda benefit italiana che ci ha regalato un impianto fotovoltaico. Da lì, l’avvio di un primo corso per programmatori informatici. Oltre ai ragazzi, si aggiunsero di seguito anche le ragazze, con esperienze simile a quelle dei loro coetanei, a cui si aggiungeva la piaga della schiavitù sessuale. Alcune arrivavano con bimbi piccoli frutto di stupro, a cui venne assicurato intanto supporto psicologico: garantire una residenzialità mista, infatti, non è agevole, ma per poter ospitare anche loro abbiamo ideato un gruppo di famiglie sensibili che si rendono disponibili, week end compresi, ricreando così un clima di serena accoglienza. Precisiamo che questi ex bambini crudamente allenati alla guerra vengono respinti dalle famiglie d’origine, dal momento che parte dell’addestramento comporta il reclutamento di altri bambini dello stesso villaggio. Oggi raccogliamo risultati interessanti e sulla scia del metodo intrapreso abbiamo anche aumentato i laboratori: abbiamo la sartoria, il catering, l’azienda agricola che opera su 7 ettari coltivati, 10 vasche per l’allevamento dei pesci, un allevamento di mucche e un altro di capre, la produzione ortofrutticola, con marmellate, farine, passate di pomodoro, farine e miele, ricavato dalle 200 arnie costruite dalla medesima falegnameria. Inoltre, la trasformazione dei materiali: vengono fabbricate mattonelle di carbone ottenute da scarti vegetali per contrastare il disboscamento. Tutti prodotti presenti sul mercato. L’ingegno di certo non manca: grazie ad un’altra azienda italiana benefit, difatti, a questi giovani congolesi che hanno riscattato la propria libertà con una tecnica semplicissima viene insegnato come produrre l’ipoclorito di sodio, da usare come disinfettante. Abbiamo aggiunto, infine, anche corsi per videomaker e il laboratorio di teatro: in una specie di “catarsi”, attraverso queste occupazioni creative emergono i loro problemi, le difficoltà relazionali. E abbiamo installato un cinema. Una proposta decisamente controcorrente, ma il vedere i volti emozionati di quei piccoli di fronte alle immagini de “Il re leone” regala una soddisfazione impareggiabile! I bambini ex soldato oggi hanno circa vent’anni e molti di loro sono voluti tornare a scuola. Possiamo contare sul progetto CEI per ampliare la scuola e dare la possibilità a più ragazzi di tonare sui banchi mettendo in atto le buone prassi. Nell’area di Kiwu attualmente la situazione è peggiorata, poiché il reclutamento è ripreso e anche la nostra zona ne risente negativamente. Comunque non ci scoraggiamo: il centro residenziale assiste all’anno circa 450-500 ragazzi vulnerabili, di cui più di 200 sono ex bambini soldato. Sappiamo quanto la condivisione del valore della terra e la “lezione” di Madre Natura siano basilari. Quanto al rapporto con le aziende, il nostro metodo non cambia: accettiamo di buon grado ogni donazione ma, al tempo stesso, intendiamo favorire la collaborazione sedendoci attorno ad un tavolo per ragionare sui progetti da completare insieme, nel rispetto delle diverse capacità e peculiarità dei rispettivi ruoli.
«Firmare per la Chiesa cattolica significa essere parte di un enorme circuito di solidarietà attraverso il quale è possibile portare aiuto a migliaia di persone, in una sorta di welfare parallelo che offre però non solo sostegno materiale ma anche relazionale operando in sinergia con altre realtà del territorio per costruire reti di supporto integrate ed efficaci». Sono parole di Massimo Monzio Compagnoni, responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica. Un bene che si mette in circolo virtuosamente, dunque, e in chiave fortemente educativa…
Personalmente ho sempre vissuto il mio impegno nella Fondazione come uno strumento, un’opportunità aperta a ciascuno per fare qualcosa per gli altri: tramite realtà come la nostra, si dà la possibilità di dare una mano con strutture gestite da persone serie, professionali e votate al progetto. In Italia ne abbiamo un gran numero, e rappresentano un’incredibile ricchezza. Le associazioni generano comunità e dobbiamo affidarci ai “professionisti della carità”. Riprendendo le parole del Santo Padre, tutti possiamo diventare fattivamente “costruttori di ponti”. Un’ora di volontariato, una firma o una donazione: ogni gesto solidale può fare la differenza, piccolo o grande che sia. Basti pensare che con lo stesso costo di un caffè, in Africa riusciamo ad accudire un bambino per due giorni. In più, mi permetto di suggerire, uno degli aspetti vincenti in ambito comunicativo e mediatico potrebbe essere proprio questo: immaginare momenti o eventi dove si possa parlare ad un pubblico ampio per spiegare, con esempi concreti, come si impiegano nella quotidianità i fondi 8xmille.
Un’ultima domanda, che è d’uopo: l’elezione di Papa Leone XIV ha suscitato un’immediata ondata di entusiasmo e gioia, testimoniata dal popolo di Dio accorso subito, l’8 maggio, in Piazza San Pietro. Chi è padre Prevost e cosa rappresenta per voi questo nuovo Pontificato?
In queste prime settimane, lo abbiamo notato tutti, Papa Prevost come Agostiniano ha dimostrato la sua forte appartenenza religiosa e il suo legame con i confratelli, con un’aderenza piena al percorso formativo e pastorale che ha compiuto. Un percorso che, di fatto, costituisce la sua “carta d’identità”: lo studio, il servizio parrocchiale, la missione e le spiccate capacità per gestire un Ordine. Nel giro di dieci anni è diventato Vescovo – in una Diocesi, tra l’altro, particolarmente complicata -, poi Cardinale e infine Papa: un tempo brevissimo, se ci pensiamo. Come famiglia agostiniana l’abbiamo sempre apprezzato in quanto persona molto umile e disponibile con chiunque. Quando è venuto qui dopo l’elezione e ha voluto salutare tutti i laici che lavorano per la Curia generalizia non è passata inosservata la semplicità che non ha smarrito nonostante la veste papale. Alla mia domanda “Ora, Santità, tocca lavorare ancora di più come Fondazione…”, la sua risposta è stata la conferma della sua personalità: “Grazie per quello che fate per la Chiesa e la gente”. Il Santo Padre, con quella frase così chiara, ha riconosciuto che ognuno di noi, nel proprio piccolo, può fare tantissimo. E se lo dice un Papa, non possono che aumentare la forza, l’energia e la volontà per proseguire al meglio in questa nostra missione.
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