Tra pioggia e raggi di sole, in una gremita piazza San Pietro e, a distanza, a Canale d’Agordo, domenica 4 settembre si festeggia una data storica: la Beatificazione di Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani. Ha saputo incarnare «la povertà del discepolo», ha affermato nell’omelia Papa Francesco, ricordandone ’’esempio alla sequela di Cristo del Papa “del sorriso”.
Un Pontefice che «ha vissuto nella gioia del Vangelo, senza compromessi, amando fino alla fine» e «ha incarnato la povertà del discepolo, che non è solo distaccarsi dai beni materiali, ma soprattutto vincere la tentazione di mettere il proprio io al centro e cercare la propria gloria». Con queste parole Papa Francesco, domenica 4 settembre 2022, in una mattinata che ha visto alternarsi gocce di pioggia e raggi di sole, ha proclamato beato Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani. Migliaia i fedeli – per lo più provenienti dal Patriarcato e dalle Diocesi di Venezia, Vittorio Veneto e Belluno-Feltre (dove nacque, il 17 ottobre 1912, a Canale d’Agordo) che negli anni lo hanno visto protagonista nel suo ministero al servizio della Chiesa – radunati in piazza San Pietro per la solenne Concelebrazione eucaristica aperta dalla classica formula di rito pronunciata da Bergoglio: «Noi, accogliendo il desiderio del Nostro Fratello Renato Marangoni, vescovo di Belluno-Feltre, di molti altri Fratelli nell’episcopato e di molti fedeli, dopo aver avuto il parere del dicastero delle Cause dei Santi, con la nostra Autorità apostolica concediamo che il venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo I, Papa, d’ora in poi sia chiamato Beato e che sia celebrato ogni anno nei luoghi e secondo le regole stabilite dal diritto, il 26 agosto». Scelto dunque, come data della festa liturgica, il giorno della sua elezione al soglio di Pietro, come suo 263mo successore, nel 1978.
Una cerimonia “illuminata” dall’esempio di un Pontefice alla sequela di Cristo
A leggere le note biografiche del nuovo beato, di fronte a 500 concelebranti, fra Cardinali, Vescovi, Sacerdoti e Diaconi, il Postulatore della causa, il cardinale Beniamino Stella. Pochi giorni prima della cerimonia, presso la Sala Stampa della Santa Sede, si era svolta la Conferenza Stampa di presentazione dell’evento a cui, oltre allo stesso Stella, erano intervenuti: Stefania Falasca, Vice-Presidente della Fondazione Vaticana “Giovanni Paolo I” e Vice-Postulatrice della Causa; don Davide Fiocco, per la Fondazione Vaticana “Giovanni Paolo I”, in rappresentanza della Diocesi di Belluno-Feltre; Lina Petri, per la Fondazione Vaticana “Giovanni Paolo I”, nipote del Pontefice; suor Margherita Marin, delle Suore di Maria Bambina; padre Juan José Dabusti, sacerdote dell’Arcidiocesi di Buenos Aires. Ricordiamo che è proprio in terra argentina che, il 13 ottobre 2021, è stato approvato il miracolo che, per sua intercessione, ha consentito la Beatificazione di Luciani (apertasi il 23 novembre 2003): Candela Giarda (assente in Vaticano a causa di un infortunio che non le ha permesso di affrontare il lungo viaggio da Buenos Aires), oggi adulta in buona salute, era una bambina in fin di vita per una malattia cerebrale (grave encefalopatia infiammatoria acuta) quando guarì senza una spiegazione scientificamente concepibile. Immensa è l’emozione della piazza gremita, sebbene il meteo sia inclemente, che sfocia in un applauso quando viene scoperto l’arazzo che mostra il Pontefice “dei 33 giorni”, ritratto con la sua tipica espressione di serenità dall’artista cinese Yan Zhang. Fra le delegazioni ufficiali che hanno partecipato alla cerimonia, quella dell’Italia, con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quella della Cina (Taiwan). E la gioia si rinnova nel momento in cui, all’altare, viene portata la reliquia che testimonia l’essenza del breve Pontificato, ma prima ancora, dell’esistenza terrena di Albino Luciani: uno scritto autografo di uno schema sulle tre virtù teologali, fede, speranza e carità, che Giovanni Paolo I usò poi nel suo Magistero per tre Udienze generali (13, 20 e 27 settembre 1978). La riflessione, impressa su figlio bianco, risale al 1956, ed è custodita in un reliquiario, opera dello scultore Franco Murer, con un basamento in pietra proveniente proprio dal paese natale del beato, sormontato da una croce intagliata su legno di noce. In quel sacro oggetto, oggi, sembra poter intravedere quella stessa humilitas, che il Papa veneto, raccogliendo il lascito di San Carlo Borromeo e Sant’Agostino, scelse come motto. «Pastore mite e umile» Albino Luciani lo fu per davvero, alla vera e totalizzante sequela di Cristo, ritenendosi «come la polvere su cui Dio si era degnato di scrivere». «Umiltà! Egli nella sua vita ha saputo vivere autenticamente la virtù dell’umiltà, come dono dello Spirito, che gli ha permesso di fare spazio a Dio», ha evidenziato a tal proposito il cardinale Angelo De Donatis, Vicario generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma e Arciprete della Basilica di San Giovanni in Laterano, che ha presieduto il momento di preghiera, alla vigilia della Santa Messa. Calzante il collegamento tra la figura di Giovanni Paolo I e il Vangelo odierno (Lc 14,25-33), in cui Gesù, ha osservato Papa Francesco, «fa un discorso poco attraente e molto esigente: non può essere suo discepolo chi non lo ama più dei propri cari, chi non porta la sua croce, chi non si distacca dai beni terreni», perchè Dio chiama tutti a «guardare a Lui più che a noi stessi, imparare l’amore, attingerlo dal Crocifisso», lì dove esso «si dona fino alla fine, senza misura e senza confini». Seguendo l’esempio e l’insegnamento del Papa ormai beato, l’invito, pertanto, è a comprendere che questo stesso amore divino «non si eclissa mai dalla nostra vita, risplende su di noi e illumina anche le notti più oscure», proprio come Giovanni Paolo I soleva ripetere: «Siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile».
33 giorni di ministero petrino capaci di lasciare un segno indelebile
È noto che Papa Albino Luciani venne a mancare, all’improvviso, nella notte del 28 settembre 1978. Il Cardinale patriarca di Venezia era stato eletto Papa in un Conclave velocissimo seguito alla morte di San Paolo VI e la sua scomparsa diede adito a interrogativi che, proprio in occasione della Beatificazione, sono stati fugati: si trattò di morte naturale. Nonostante la brevità del suo ministero petrino, le novità e lo stile adottato da Giovanni Paolo I lasciarono una traccia importante, a partire dal linguaggio, più colloquiale e vicino al popolo di Dio. In molti ricordano senz’altro l’omelia del celebre Angelus del 10 settembre del 1978 in cui il Pontefice richiamò più volte alla fiducia in Dio e a non perdere mai la speranza: «Una virtù obbligatoria per noi credenti» che ci fa «viaggiare in un clima di fiducia e di abbandono». La “sua” Canale d’Agordo, a distanza, non ha certo mancato di festeggiare il neo Beato, con il maxischermo nel centro della cittadina situata tra le Dolomiti per seguire il rito, le campane che hanno suonato a lungo in questa giornata di gioia e l’annullo filatelico presso la Sala consiliare del Comune: coniate, inoltre, le monete commemorative in bronzo e in argento. In questi giorni si susseguiranno appuntamenti civili e religiosi per ricordare quel don Albino che resterà impresso nella memoria anche per la sua semplicità. Si legge infatti nella testimonianza resa dalla nipote Postulatrice della causa di Beatificazione: «Molte volte andavo a trovarlo da sola. Sempre in quegli anni invitava la mia famiglia (i miei genitori, mio fratello e me) a trascorrere il Natale e la Pasqua con lui. Durante quegli incontri, immancabilmente la mamma esternava tutte le sue preoccupazioni sul brutto momento che si stava vivendo: le proteste del post Sessantotto, il terrorismo, le contestazioni al Papa. E gli diceva: “È tutto un rebaltòn… Albino, sono tanto preoccupata anche per te”. Lo zio però si dimostrava sereno, la incoraggiava e le diceva: “Nina stai tranquilla, la Chiesa nei secoli ha superato momenti anche più gravi e difficili perché è il Signore che la guida. Lui c’è sempre”. E aggiungeva: “Ciò che è tradizione nei secoli rimane e ritorna, sempre”. Suor Vincenza, mi raccontava che lo zio le diceva: “Le verità della fede le ho imparate da bambino, sono rimaste le stesse, sono sempre le stesse, e non sono cambiate da quando sono diventato prete a ora. Ed è questa Parola di Dio, che è immutabile, che dobbiamo proclamare, non la nostra”. Ci diceva di continuare a recitare il Rosario in famiglia, “anche se tutti ora dicono che è una preghiera superata”». Parole che riecheggiano anche nel ricordo personale tratteggiato da Stefania Falasca su “Avvenire”, con il suo «grazie a una causa che ha permesso la raccolta delle fonti documentali, così che si è potuto finalmente mettere in cantiere un progetto di ricostruzione storica meno estemporanea della vita e del servizio di papa Luciani. L’avventura di ricomporre «le membra disperse di un corpo», mosaico fatto di tessera su tessera, che ha fatto riemergere l’attualità del proprium episcoporum, la dignità sapienziale del sacerdote, del vescovo, del patriarca, infine del Successore di Pietro, e la cultura biblica, patristica, dogmatica, morale, storica, umanistica di Luciani». Una eredità ben raccontata anche nel libro “Il sorriso del Papa. La vita di Albino Luciani e i trentatré giorni di Giovanni Paolo I” (Edizioni San Paolo 2022, pp. 288), a cura di Antonio Preziosi, direttore di Rai Parlamento, in cui vengono ricostruiti dettagli ed episodi della vita e del Pontificato del neo Beato, che «si impegnava in azioni reali di carità e di attenzione verso i poveri». «Eletto il 26 agosto 1978 – si legge inoltre in un passaggio del testo – Giovanni Paolo I fu anche il Pontefice delle “prime volte”: il primo a scegliere il doppio nome, il primo ad abolire il plurale maiestatico e l’incoronazione, rinunciando ai segni della “regalità del Papa”; il primo a pronunciare discorsi meditati ma recitati come se fossero a braccio, senza leggere i testi ufficiali preparati o vistati dalla Segreteria di Stato; il primo a dire che Dio non è solo padre, ma ama i suoi figli con un amore profondissimo come fa una mamma». Un messaggio che ancora adesso scalda i cuori, specie in questa epoca così sofferta. Al termine della Celebrazione eucaristica in San Pietro le nuvole lasciano lo spazio ad un cielo limpido, e ad una luce con cui Albino Luciani “sorride”, benevolmente, alla sua amata Chiesa. Una Chiesa, ha concluso Papa Francesco, «bella con il volto lieto, il volto sereno, il volto sorridente, una Chiesa che non chiude mai le porte, che non inasprisce i cuori, che non si lamenta e non cova risentimento, non è arrabbiata, non è insofferente, non si presenta in modo arcigno, non soffre di nostalgie del passato cadendo nell’indietrismo. Preghiamo questo nostro padre e fratello, chiediamo che ci ottenga “il sorriso dell’anima”, quello trasparente, quello che non inganna: il sorriso dell’anima».
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