Di Luciana Leone
Partendo dal Messaggio di Papa Francesco per la 55ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali, dal titolo «Vieni e vedi» (Gv 1,46), riflettiamo su luci e ombre di un tema attualissimo e complesso.
L’invito di Gesù rivolto ai primi discepoli, “Vieni e vedi” (Gv 1,46) è alla base del Messaggio di Papa Francesco per la 55ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali, dal titolo «Vieni e vedi» (Gv 1,46). Comunicare incontrando le persone dove e come sono. Una riflessione preziosa che ci aiuta a riflettere su un tema complesso, in un mondo globalizzato e allo stesso tempo frammentato, spesso incapace di comunicare nonostante l’enorme dilatazione comunicativa cui assistiamo. Sarebbe sbagliato demonizzare i media, che tanto aiuto stanno offrendo in questo momento difficile, ma affermarne i tratti positivi non deve esimerci dal conoscerne anche quelli negativi, perché siano usati nel miglior modo possibile. Non solo dai professionisti ma anche da tutti noi.
Vieni e vedi!
Vieni e vedi: è la più concreta, immediata, valida forma di comunicazione che si possa immaginare, perché non è affidata alla capacità e alla mediazione del comunicatore che la pronuncia, ma ripone la sua efficacia nel fatto che chi riceve la comunicazione non debba fidarsi di un intermediario: può autonomamente vedere, capire, accogliere il messaggio e la sua veridicità, entrare in relazione con quel contenuto e con chi lo comunica.
Il Papa, nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali del 2020 – Roma, San Giovanni in Laterano, 23 gennaio 2021, nella Vigilia della Memoria di San Francesco di Sales – elegge questa forma di comunicazione come «suggerimento per ogni espressione comunicativa che voglia essere limpida e onesta», in una condizione in cui la globalizzazione della comunicazione produce uniformazione, appiattimento dei contenuti, forme di improvvisazione e di superficialità sia in chi comunica sia in chi reagisce alla comunicazione.
Comunicazione e incomunicabilità
Paradossalmente, con la massima diffusione dei mezzi di comunicazione, si registra una crescente incapacità di comunicare; il Novecento è stato il secolo in cui l’incomunicabilità, la solitudine, l’inquietudine sono state maggiormente rappresentate, soprattutto nella cinematografia e nella letteratura; il pensiero va a Samuel Beckett, Marguerite Duras, Luigi Pirandello. Ma anche nella pittura possiamo richiamare Edward Hopper, i cui quadri rappresentano generalmente un solo soggetto o, se vi sono più soggetti, essi mostrano una totale assenza di relazione dialogica; lo stesso possiamo dire del contemporaneo Alberto Sughi, cantore della solitudine esistenziale. Ancora, per cambiare completamente scena, pensiamo ai testi di The wall, dei Pink Floyd, nei quali si racconta la storia di una rockstar che si costruisce un muro ideale per nascondersi e superare le ferite della vita, per quanto l’unica via di uscita per farlo sarebbe proprio quella di andare oltre il muro.
La scrittrice Wirginia Wolf sostenne che in un giorno di dicembre del 1910 il carattere umano fosse cambiato: era il giorno nel quale a Londra era stata portata la prima mostra di pittori post impressionisti, – Manet, Gauguin, van Gogh e Cézanne e per la scrittrice questo rappresentava il punto di diramazione dell’estetica della frammentazione: una umanità sfaccettata, multipla, spesso massificata, spesso plagiata da ideologie; un individuo sempre più complesso e sempre più smarrito nell’incapacità di auto interpretarsi e di interpretare le relazioni sociali.
L’esplosione della Rete
Con l’avvento della Rete la comunicazione è letteralmente esplosa: milioni di informazioni, di conversazioni, di interazioni si intrecciano ogni giorno mettendo in relazione migliaia di persone lontane fra loro. Un’opportunità di condivisione, di partecipazione, di accrescimento culturale, di allargamento degli orizzonti mai sperimentata prima dall’umanità. Ma, insieme alle opportunità, la Rete ha mostrato una fitta trama di insidie che, invece di migliorare la nostra capacità di interazione e di interpretazione della realtà, sembrano complicarle. In questo senso, la natura digitale della comunicazione ha avuto il suo peso: pensiamo ai social, che hanno in sé stessi sia il carattere della transitorietà sia quello della permanenza. Li concepiamo come una forma di comunicazione immediata, veloce, fluida, informale, che tradisce un sentimento momentaneo, spesso istintivo; li usiamo, spesso, ala stregua di una conversazione da caffè; eppure quello che scriviamo rimane per sempre, peggio che se fosse scritto su tavole di pietra e, un giorno, potrebbe ritorcersi contro di noi. Gli studiosi oramai concordano sul fatto che la nostra soggettività sarà sempre più condizionata dalla percezione di ciò che è online e che ci racconta; in questo senso, alcuni social media come wathsapp o instagram stanno immaginando la possibilità di messaggi “effimeri”, che possano autodistruggersi dopo un certo periodo di tempo.
Un fattore che deteriora la finalità stessa della comunicazione, in quanto divulgazione di contenuti, è la competizione: arrivare per primi, spesso, implica l’impossibilità di approfondire, verificare, vagliare ciò che si comunica, creando allarmismi, scatenando polemiche, promuovendo filoni di cultura o di opinione fondati sul pressapochismo.
Mettersi in moto
La prima attenzione che Papa Francesco consiglia, è la necessità di mettersi in moto che discende dall’invito “vieni e vedi”. Questo implica diversi passaggi: uscire da se stessi, cercare le persone e stare con loro, saperle ascoltare e, prima di tutto e soprattutto, non lasciarsi condizionare «dalla comoda presunzione del già saputo».
La presunzione di sapere tutto è devastante: ci trasforma in “tuttologi”, ci fa sentire in grado di esprimerci su qualsiasi argomento, anche molto tecnico, sulla base non di un sapere pregresso, di una conoscenza fondata, di un’esperienza provata, ma sulla scorta di emozioni, preconcetti, idee talvolta raccogliticce. La presunzione del sapere ci deruba dello stupore di fronte alla novità, ci impedisce di lasciarci mettere in discussione su alcune convinzioni; non di rado, orienta il nostro giudizio prima ancora di avere compreso le questioni; demolisce il nostro interesse e la nostra voglia di conoscere e di approfondire. Il dinamismo al quale non dobbiamo sottrarci è anche quello che ci aiuta a non restare in qualche modo “intrappolati” nella rete senza accorgerci di un mondo molto vicino che ha bisogno del nostro supporto: per esempio condannare l’emarginazione o la povertà sul web sul piano culturale e non fare nulla in prima persona per contrastarla.
Il 24 gennaio di quest’anno, appena un giorno dopo l’uscita del Messaggio, il Papa, subito dopo l’Angelus, ricordava Edwin, una senzatetto nigeriano di 46 anni, morto di freddo a pochissima distanza da San Pietro. Nonostante l’opera di misericordia voluta da Papa Francesco e che ormai da tempo in quella zona raccoglie e aiuta poveri e diseredati, persino chi rifiuta un aiuto, il Papa ricorda Edwin, non senza autocritica, come colui che è stato «ignorato da tutti, abbandonato anche da noi».
Da comunicatori diretti o indiretti possiamo raccontare il disagio e l’emarginazione e sensibilizzare così le coscienze, ma non possiamo mancare di affiancare a questo impegno l’incontro con queste povertà.
Consumare le suole delle scarpe
Il Papa denuncia non solo la superficialità ma anche l’uniformità dell’informazione. Ce ne rendiamo conto anche noi seguendo nella stessa sera più telegiornali, le cui notizie sembrano scritte da una sola mano. Tanto i quotidiani quanto la televisione rischiano di rispondere, dice il Papa, a logiche “di palazzo”, dunque a una forma di comunicazione orientata, gestita, asservita; a questo si aggiunge il fatto che le informazioni spesso vengono cercate in rete, dice Papa Francesco: «davanti al computer, ai terminali delle agenzie, sulle reti sociali, senza mai uscire per strada, senza più “consumare le suole delle scarpe”, senza incontrare persone per cercare storie o verificare de visu certe situazioni». Anche nel caso del’informazione e della comunicazione è vincente la cultura dell’incontro, tanto cara al nostro Pontefice. Allora anche la rete potrà diventare un grande contenitore e non solo un moltiplicatore di notizie sempre uguali.
Certo, non è facile districarsi nella giungla dell’informazione, discernere il vero dal falso (fake news), accertare la fondatezza delle informazioni che riceviamo. Dobbiamo essere consapevoli che la rete, accanto a grandi opportunità dal punto di vista formativo e informativo, offre spazio anche a mistificazioni, bugie, notizie che hanno talvolta la precisa finalità di manipolarci e di condizionare il nostro pensiero, in una direzione politica per esempio, oppure i nostri acquisti e i nostri consumi, secondo una logica di mercato. Un esempio di tutto questo è la diffusione di messaggi fuorvianti sui vaccini, in tempo di Covid-19. La velocità dell’informazione oggi passa spesso da scorciatoie che nulla hanno a che fare con la costruzione della cultura, un processo di educazione che dura tutta la vita, nel quale le informazioni non rappresentano un fine, ma un mezzo per costruire la nostra identità. In questa direzione, il “Vieni e vedi”, anche se non in senso fisico, piuttosto in senso figurato, rappresenta la volontà di accertarsi, il desiderio di conoscere nella verità, di educarsi, di formarsi, misurarsi con la diversità culturale.
In fondo, potremmo dire con una sola espressione, il desiderio di non accontentarsi: dirà la gente alla Samaritana: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito» (cf Gv 4, 39-42).
Nulla sostituisce il vedere di persona
La virtualità della comunicazione, che ha spodestato il vedere e il vedersi di persona, ha contribuito significativamente al deterioramento della comunicazione, che ha bisogno non solo di parole scritte, ma anche della comunicazione non verbale: il tono della voce, lo sguardo, un sorriso, la posizione del corpo, i gesti. Sicuramente, moltissimi di noi hanno esperienza del fatto che una nostra mail scritta senza intenti provocatori o polemici, sia stata interpretata negativamente. Ricorda il Papa nel suo Messaggio che «la forte attrattiva di Gesù su chi lo incontrava dipendeva dalla verità della sua predicazione, ma l’efficacia di ciò che diceva era inscindibile dal suo sguardo, dai suoi atteggiamenti e persino dai suoi silenzi… in Lui – il Logos incarnato – la Parola si è fatta Volto, il Dio invisibile si è lasciato vedere, sentire e toccare, come scrive lo stesso Giovanni (cf 1 Gv 1, 1-3)». Il Vangelo si è diffuso grazie all’incontro tra persone, grazie all’esperienza, grazie al contatto, al tempo trascorso con le persone. Questo non solo ci permette di integrare la nostra comunicazione, ma ci consente anche di capire meglio le persone, la condizione in cui si trovano, dunque, spesso, anche le ragioni che spingono alcune persone a comunicare, reagire, interagire in un certo modo.
Il senso di responsabilità
Non possiamo e non vogliamo sottacere – e nemmeno il Papa lo fa – le grandissime opportunità che offre la rete, insieme con tutte le sue espressioni social: condivisioni e contatti un tempo inimmaginabili, superamento dei confini, possibilità di racconto, acquisizione di informazioni e conoscenze, lettura di quotidiani, riviste, libri; reperimento di immagini e di testimonianze, aiuto concreto in rete, possibilità di raccolte fondi tempestive, comunicazioni di servizio per chi viaggia, per chi deve curarsi, per lo sporto, per lo svago, persino per chi vuole trovare l’orario di una messa quando è in vacanza. E tanto altro ancora. Ma quest’oceano di possibilità deve far scattare in noi anche un forte senso di responsabilità e una nuova capacità di discernimento: possiamo dare il nostro contributo attivo facendo emergere storie positive, condividendo la testimonianza della fede, smascherando – se ne siamo nelle condizioni – le notizie false, intervenendo nelle discussioni in modo sereno, stemperando le polemiche. Se qualcuno si accanisce contro gli immigrati, invece di contestare con impeto, possiamo raccontare una storia positiva che ha per protagonista uno di loro; se ci sono persone che attaccano la Chiesa, per esempio sul tema dell’uso del denaro, possiamo raccogliere informazioni sulle missioni, sul lavoro delle Caritas, sui dati degli aiuti che la Chiesa offre alle popolazioni in difficoltà in tutto il mondo.
Nel suo Messaggio, il Papa non manca di ringraziare i tanti giornalisti – e tutti gli altri operatori del settore – che hanno il coraggio di raccontare la realtà andando «laddove nessuno va… correndo grandi rischi». Grazie a loro oggi conosciamo le condizioni dei Paesi più poveri, delle minoranze perseguitate, delle guerre dimenticate.
Un piccolo decalogo per comunicare sui social
- Ricordiamoci che quello che scriviamo in rete rimane per sempre. Riflettiamo su ciò che scriviamo prima di dovercene pentire.
- Tutte le nostre attività in rete contribuiscono a creare un profilo della nostra personalità che può non corrispondere al vero.
- Non partecipiamo a discussioni con toni accesi, animosi, addirittura violenti; cerchiamo piuttosto di mettere pace ed essere costruttivi.
- Se qualcuno non è d’accordo con il nostro pensiero, evitiamo di insultare o di affibbiare giudizi alle persone. Migliaia di persone si faranno un’idea sbagliata a causa nostra.
- Ricordiamo che in rete la mancanza della comunicazione “non verbale” può rendere ancora più dure le nostre affermazioni e non trasmettere al meglio ciò che vogliamo dire.
- Esprimiamoci solo su argomenti di cui siamo veramente a conoscenza, in modo approfondito.
- Se siamo sollecitati da un argomento che ci interessa, invece di partecipare a discussioni in modo improvvisato, cogliamo l’occasione per studiare quell’argomento.
- Non dimentichiamo che siamo responsabili delle informazioni che immettiamo nella rete: quello che diciamo può condizionare negativamente o positivamente chi ci legge.
- Preoccupiamoci di verificare tutte le informazioni che leggiamo, sopratutto quando le condividiamo e contribuiamo a farle diventare virali.
- 10.Non lasciamo che la rete ci distacchi dalla realtà: mentre ci accaniamo a litigare sui social, anche sulla fede cristiana, il nostro vicino di casa o l’emarginato che dorme sul marciapiede di fronte a casa nostra muore senza neanche un piccolo gesto di carità.
La cultura da grande magazzino. Il parere del sociologo Zygmunt Baumann (in Avvenire, 21 febbraio 2010)
La cultura sta ora trasformandosi in uno dei reparti di quel grande magazzino dove è possibile reperire «tutto quello di cui hai bisogno e che potresti sognare» nel quale si è trasformato il mondo abitato da consumatori. Come in altri reparti di quello stesso negozio, i ripiani sono stracolmi di beni riforniti quotidianamente, mentre le casse sono decorate con la pubblicità delle ultime offerte, destinate a scomparire presto insieme alle attrazioni che reclamizzano. Beni e pubblicità sono concepiti per stimolare e provocare il desiderio (come notoriamente ha detto George Steiner, «per il massimo impatto ed un’istantanea obsolescenza»). I loro mercanti e copywriters fanno affidamento sul matrimonio tra il potere seduttivo dell’offerta e il bisogno radicato di essere in vantaggio sugli altri dei loro potenziali clienti. La cultura liquida moderna, diversamente da quella dell’epoca della costruzione delle nazioni, non ha gente da educare ma piuttosto clienti da sedurre. E, diversamente da quella “solido-moderna” che l’ha preceduta, non desidera più chiamarsi fuori del gioco a poco a poco, ma il prima possibile. Il suo obiettivo ora è rendere la propria sopravvivenza permanente, temporalizzando tutti gli aspetti della vita dei suoi ex pupilli, ora trasformati in suoi clienti.
La preghiera di Papa Francesco
Signore, insegnaci a uscire dai noi stessi,
e a incamminarci alla ricerca della verità.
Insegnaci ad andare e vedere,
insegnaci ad ascoltare,
a non coltivare pregiudizi,
a non trarre conclusioni affrettate.
Insegnaci ad andare là dove nessuno vuole andare,
a prenderci il tempo per capire,
a porre attenzione all’essenziale,
a non farci distrarre dal superfluo,
a distinguere l’apparenza ingannevole dalla verità.
Donaci la grazia di riconoscere le tue dimore nel mondo
e l’onestà di raccontare ciò che abbiamo visto.
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