Nella Terra di Abramo, per abbracciare i martiri cattolici

di Gerolamo Cicco

L’intervista a Sua Beatitudine Ignatius Youssef III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri, all’indomani del Viaggio apostolico di Papa Francesco in Iraq, dove continuano a sanguinare le ferite di un popolo discriminato e martoriato dall’odio.

Un viaggio che resterà nella storia, non solo della Chiesa ma del mondo intero, quello che Papa Francesco ha intrapreso in Iraq, terra di aspri conflitti civili e religiosi, lo scorso 5-8 marzo: un Pellegrinaggio faticoso, ai limiti della sicurezza, attraverso terre di martirio per moltissimi cristiani. Impossibile non apprezzarne i frutti e la potenza. Per approfondirne il significato, abbiamo rivolto alcune domande a Sua Beatitudine Ignatio Youssef III Younan, Patriarca della Chiesa cattolica dei Siri, che ha accolto il Santo Padre prima a Baghdad e poi a Qaraqosh. «Guardandovi – ha detto Papa Bergoglio – vedo la diversità culturale e religiosa della gente di Qaraqosh, e questo mostra qualcosa della bellezza che la vostra regione offre al futuro».

D. – Lei è stato, insieme al Santo Padre Papa Francesco, nei luoghi che dieci anni fa sono stati scenari di martirio di sorelle e fratelli cristiani, deceduti in  attacchi terroristici. Il terrorismo è ancora una seria minaccia alla stabilità delle nostre comunità: che cosa bisognerebbe fare, a Suo giudizio, per assicurare la libertà di culto? 

R. – La visita di Papa Francesco in Iraq è stato un evento storico, una grazia e una profezia realizzata in un Paese tormentato da anni, in particolar modo per i cristiani martoriati. Nel primo giorno della sua visita, venerdì 5 marzo, il Santo Padre ha voluto recarsi alla nostra Cattedrale di Nostra Signora della Salvezza dei Siri cattolici. Non abbiate il tabù di sentire le parole “siri”, “Siria”; noi siamo il ceppo, la Chiesa antica di Antiochia Siriaca.

Questa Cattedrale a Baghdad, come si sa, nel 2010 ha subito una strage che non si può descrivere; 48 martiri tra cui bambini, adulti, donne, uomini, con oltre 100 feriti: ricordo di essere stato in quella Cattedrale qualche giorno dopo il massacro, di avere visitato i feriti all’Ospedale Gemelli di Roma e anche in un ospedale francese. Quella stipulata dalla Carta delle Nazioni Unite è un punto di partenza inalienabile affinché i cristiani possano rimanere in Iraq e vedere garantita la libertà di culto (che si può esercitare nelle chiese, nei santuari) ma specialmente la libertà di coscienza. Vuol dire dunque riconoscere che tutti i cittadini di un Paese hanno la libertà di scegliere la loro religione e praticarla secondo le norme delle Nazioni Unite, senza discriminazioni.

D. 2 – Il Papa ha mantenuto la promessa, nonostante il periodo in cui ci troviamo, di recarsi in Iraq, nella Terra di Abramo. Qual è il valore “politico” di questo Viaggio apostolico, di un gesto così alto che espone le religioni a una maggiore unità per fronteggiare il nemico dell’indifferenza?

R. 2 – La visita di Papa Francesco nella terra di Abramo è stato un atto coraggioso, possiamo definirlo anche profetico. Speriamo che questa Visita non si fermi al livello politico e mediatico ma che abbia “follow up”, cioè produca ulteriori effetti sul territorio. Penso sia meglio parlare di sforzi per la ricerca di una maggiore unità tra esseri umani e gruppi di persone piuttosto che tra religioni, perché le religioni si possono studiare e conoscere ma non si può avere tra esse un dialogo teologico vero. Dobbiamo pensare a un vivere assieme fondato sul valore civico che promuova l’apertura all’altro, anche a quel prossimo del Vangelo che non è ancora concepito dall’Islam, che non riconosce come prossimo una persona o un gruppo di persone di diversa religione.

3) Il 6 marzo scorso è stato proclamata in Iraq la Giornata della Tolleranza e della Coesistenza per ricordare lo storico incontro tra Papa Francesco e il Grande Aytatollah Al Sistani, così come san Francesco incontrò il sultano Malik Al-Kamil aprendo strade di pace e convivenza per i secoli a venire. Vede in questo Viaggio un punto di svolta per il doloroso e faticoso cammino di pace nel Medio Oriente? 

R. 3 – È vero, è stata un’iniziativa straordinaria da parte del primo ministro Kadhimi – che è sciita – quella di proclamare il 6 marzo una Giornata della Coesistenza, in occasione dell’incontro di Papa Francesco con l’Ayatollah Al Sistani, come anche l’incontro multi-religioso a Ur. Sì, questi incontri fanno tornare alla memoria quello di san Francesco d’Assisi con il Califfa Malik Al-Kamil in Egitto. Dobbiamo ricordare che gli sciiti sono la parte minoritaria dell’Islam mondiale; anche loro sono stati oppressi dalla maggioranza sunnita lungo la storia. L’Islam, che è stato praticato ovunque, non è ancora riuscito a separare la religione dalla politica, cioè a non interpretare letteralmente i versetti del Libro sacro. A causa di un confessionalismo tacito, i conflitti settari, purtroppo, continuano e un’intesa pacifica, vera e giusta non sembra ancora fattibile né in Iraq, né nei Paesi nei quali l’Islam domina. Noi continuiamo a pregare e a sperare.

Intervista

4) Il 6 agosto 2014 Qaraqosh ha vissuto in una sola notte l’esodo dei cristiani che lasciavano la piana di Ninive. Cosa ha rappresentato per Lei ritornare in quelle terre con il successore di Pietro e riparare spiritualmente a tanto sangue versato da innocenti?

R. 4 – I fatti relativi allo sradicamento dei cristiani di Qaraqosh e degli altri villaggi della Piana di Ninive sono sempre davanti ai nostri occhi. Si è trattato di una persecuzione comparabile a un genocidio. Oggi, almeno due terzi dei cristiani della Piana di Ninive sono andati via. Qaraqosh è il più grande centro cristiano dell’Iraq; vi è ritornato il 60% dei cristiani, circa 24mila dei nostri Siri cattolici. Quei cristiani sono rimasti delle ore ad aspettare Papa Francesco per accoglierlo con entusiasmo e con una fede radicata e testimoniata in un territorio davvero molto difficile. Noi cristiani del Medio Oriente siamo stati perseguitati a causa del Vangelo e siamo davvero fieri di seguire Gesù Redentore. In Occidente si tende a pensare che la persecuzione è un fatto “personale” tra un cristiano e Gesù Cristo: noi accettiamo di avere questa vocazione, di soffrire per il Vangelo, ma ricordate che non solo noi, ma le nostre stesse Chiese sono minacciate. Occorre, dunque, distinguere tra la persecuzione ad personam e la persecuzione ad Ecclesiam sui iuris (alla Chiesa tutta e al suo diritto di esistere). È la nostra stessa esistenza ecclesiale che è in gioco.

Ricordiamo cosa è avvenuto in Asia minore, nei Paesi del nord Africa dove ci rechiamo come pellegrini ma dove troviamo solo pietre e rovine.

5) Il Santo Padre nel suo discorso a Qaraqosh ha posto l’attenzione sul ruolo della donna e dei giovani e sull’importanza del perdono da concedere agli oppressori. Come, a Suo avviso, si possono sviluppare questi tre aspetti per una ripartenza della vita sociale nelle comunità mediorientali?

R. 5 – La donna (forse più dell’uomo perché normalmente “marginalizzata” nei paesi in cui l’Islam domina), ha vissuto in Iraq, per molti anni, tutte le tribolazioni delle guerre, dei conflitti e di condizioni di vita degradate. Tra le minoranze, le donne sono state particolarmente prese di mira, maltrattate, rapite e perfino ridotte in schiavitù (come avvenne con gli esili). Molte donne hanno sofferto la persecuzione da parte delle bande terroristiche che giustificano questa violenza con il loro credo. Si deve riconoscere che la donna in Iraq ha dimostrato una forza e una capacità di recupero eccezionali per proteggere la famiglia, in particolare i bambini e la gioventù. Eppure, purtroppo, in Iraq e nei Paesi del Medio Oriente la donna ancora oggi non gode degli stessi diritti civili dell’uomo perché si pratica la legge islamica, la shari’a in arabo, almeno tacitamente.

I giovani, d’altro canto, rimangono preda di uno stato di incredibile desolazione, molto più degli adulti, perché non riescono a inserirsi in una società dove regnano ancora il caos, la discriminazione e la corruzione. Noi stiamo incoraggiando sempre i nostri giovani a credere in un vivere “assieme”, nella speranza contra spem, in un futuro di solidarietà in Iraq, con i loro compagni di diverse religioni, specialmente con la maggioranza musulmana. Tuttavia, la situazione attuale, ancora fortemente condizionata dal settarismo e dal confessionalismo, non ispira fiducia nell’animo dei giovani, che sono tentati di cercare il loro futuro all’estero. La nostra più grande sfida è capire come aiutarli a rimanere saldi nella fede, radicati nella loro terra, malgrado tutte le difficoltà, e incoraggiarli al perdono. Ma non basta dire che perdoniamo. Noi abbiamo bisogno di atti concreti, di essere riconosciuti come veri cittadini nei nostri Paesi.

6) Poco più di un anno fa si è tenuto a Bari l’incontro “Mediterraneo Frontiera di Pace” al quale Lei ha preso parte. Vede in questo viaggio del Papa in Iraq la primizia di una semina avvenuta in quell’occasione? 

R. 6 – Penso di sì! Il Santo padre ci aveva benedetti a Bari, circa un anno fa. L’Incontro “Mediterraneo frontiera di pace” è stato un’occasione di arricchimento e conoscenza reciproca: noi gerarchi delle Chiese del Mediterraneo, grazie alla Conferenza episcopale Italiana – che ha organizzato molto bene questo incontro -, ci siamo sentiti meno isolati, meno dimenticati. Va ricordato però che la sopravvivenza di queste Chiese, che risalgono al tempo degli apostoli, dipende in primo luogo dal sostegno dei Cristiani occidentali. Lo ripeto: siete voi che potete darci la forza per andare avanti per testimoniare il Vangelo in ambienti difficili e intolleranti. Questo è possibile solo se continuate a lottare per i nostri diritti civili, fuori da linguaggi “diplomatici” o politicamente corretti.

D. 8 – Oggi (13 marzo, giorno dell’intervista, ndr) il Papa festeggia 8 anni dall’elezione al suo Pontificato. Ha qualche ricordo di quella giornata, qualcosa che La leghi particolarmente a Papa Francesco?

R. – Nel giorno della sua elezione ero in visita in Egitto, alla nostra Eparchia del Cairo, e ho seguito le notizie. Sono stato molto contento di avere un arcivescovo dell’America Latina nella Sede di Pietro. Noi continuiamo a pregare per Papa Francesco e a seguire il suo Magistero. Lui ha pregato sempre per la pace nel Vicino Oriente ricordando le sofferenze in Siria, specialmente in questi ultimi mesi. Il 15 marzo ricorrerà il X anniversario dell’inizio di questa orrenda guerra civile. Se questa violenza continua, questo costituirà il più grande pericolo per l’esistenza dei cristiani. Molti pensano, ancora oggi, che esportare la democrazia occidentale nei Paesi del Vicino Oriente sia la soluzione per porre fine ai conflitti, ma questo non è vero: ci vuole molto di più affinché questi Paesi possano davvero vivere e praticare la democrazia, perché non separano la religione dalla legge dello Stato.

D. – 8) Su Tv2000, che ha dato ampio spazio al Viaggio papale in Iraq, è emerso il grande rapporto di fraternità tra Lei e il Papa, con tutti gli arcivescovi, con i confratelli di rito Siro cattolico. Dalle immagini traspariva grande stima reciproca, nello spirito della Lettera Enciclica “Fratelli tutti”. Me lo può confermare?

R. 8 – Sicuramente il Santo Padre ha in animo di avvicinare i singoli e i popoli in un’intesa come quella scritta ad Abu Dhabi sulla fraternità universale. Anche noi lo auspichiamo e preghiamo per la realizzazione di questo scopo. Siamo molto grati a Papa Francesco per questa visita, per averci incontrato; si è molto stancato per visitare diversi luoghi e incontrare tante persone. Ha compreso le nostre sofferenze, sia di coloro che sono rimasti qui, sia di quanti sono partiti, purtroppo, per andare in Paesi lontani e che non sappiamo se potranno mai ritornare.

intervista

9. D. Stiamo vivendo una situazione mondiale di grande sconcerto e paura per il Covid-19. Che lettura dà di questa pandemia?

R. – Noi accettiamo tutto ciò che avviene, come i disastri naturali. A questo proposito, noi siri, nei nostri canti liturgici, già da molti secoli chiamiamo la terra “la nostra madre”, Mother Earth, ma non ci dimentichiamo che una madre, alle volte, è anche obbligata a punire i suoi figli e le sue figlie, per accompagnarli nella loro formazione. Non possiamo spiegarci come mai la scienza, che ci ha dato la possibilità di andare fino su Marte, non riesca a prevedere e a combattere con celerità il disastro del Covid-19. Tuttavia, continuiamo ad avere fiducia. Anche in Libano siamo “confinati” e le chiese non possono accogliere i fedeli che vogliono pregare, ma non perdiamo la speranza che anche in questa pandemia si possa fare del bene, essere più solidali. L’espressione “distanziamento sociale” non è felice, perché ci ricorda di “allontanarci” gli uni dagli altri. Sarebbe stato meglio parlare di “distanziamento fisico” e non sociale, perché è un termine piuttosto negativo. Io spero di poter continuare a fare le mie visite pastorali fuori del Libano: il 25 marzo, nel giorno dell’Annunciazione del Signore, tornerò nel nord dell’Iraq, nella nostra diocesi di Mosul, per consacrare la nostra amata chiesa, bruciata dai terroristi e restaurata con l’aiuto dei cristiani delle organizzazioni cattoliche. La testimonianza fatta da padre Raid Adel Kallo Emanuel, davanti al Santo Padre, è stata molto apprezzata: andrò a celebrare la Messa nella sua chiesa a Mosul.

D. – 10. Sua Beatitudine, cosa può rappresentare l’incontro tra i cristiani di diversi riti, in ordine alla riscoperta della bellezza della sacra liturgia che, in un’epoca di secolarizzazione, perde di significato dinanzi alle nuove generazioni?

R. – 10. La liturgia è un fatto sostanziale per il nostro spirito, per la nostra storia e per la nostra testimonianza. Noi chiamiamo la Santa messa “Liturgia divina” perché ci fa ricordare che la Terra e il cielo si uniscono nella Celebrazione liturgica e che noi celebriamo Gesù, l’Agnello immolato e glorificato nella gioia del cielo. Il nostro asset, il nostro capitale è la liturgia. Come numero noi siamo molto ridotti; ma la ricchezza del nostro patrimonio liturgico è intatta. Noi cerchiamo non solo di conservare il nostro rito, ma anche di celebrare la liturgia nella pietà, nella glorificazione del Signore e in comunione con i santi del cielo: la liturgia non può essere privata della partecipazione gioiosa del popolo, della nostra comunità.

11) Per concludere, Le chiediamo un saluto e un augurio per i Gruppi, le Comunità, i Cenacoli del RnS, gli stessi che avrebbe dovuto incontrare in occasione della 43ª Convocazione nazionale, rinviata a causa della pandemia.

R. 11 – Prima di tutto ringrazio il Signore per aver chiamato voi, care amiche e cari amici, e le vostre comunità di cristiani cattolici nel Rinnovamento dello Spirito, nel quale Gesù è presente in intima unione di gioia e preghiera con il Padre Celeste: questo potete viverlo solamente con il soffio dello Spirito che vi accompagna. Purtroppo, sono stato impedito, a causa della pandemia, di rispondere all’invito del nostro caro amico Salvatore Martinez, Presidente del Rinnovamento nello Spirito, a partecipare con voi alla 43ª Convocazione nazionale. Tuttavia, sto seguendo il vostro cammino spirituale  e pregando affinché possiate rimanere sempre fedeli a Gesù redentore, grazie allo stesso Spiriti che vi ha fatto nascere nella Chiesa. Continuate, per favore, a sostenere coraggiosamente la famiglia cristiana, la Chiesa domestica, fondata su un padre e una madre amorevoli, che si sacrificano per accompagnare i loro figli nel cammino di fedeltà a Gesù. Non abbiate paura di sfidare il mondo secolarizzato, anche andando controcorrente. Non dimenticate: Gesù vi manda nel mondo non per modellarvi a esso, ma per innalzarlo e conformarlo allo Spirito. Vi auguro cari amici, un tempo benedetto di Quaresima, una salita spirituale verso Gesù risorto. Tanti auguri!

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