Rimini, 24 aprile 2023
Nel 2002 e nel 2004 ricevevamo da san Giovanni Paolo II il mandato a diffondere nel mondo la cultura della Pentecoste, che significa, concretamente, permettere allo Spirito Santo di non essere escluso dalla cultura del tempo, dalla vita sociale degli uomini, dalle decisioni politiche di coloro che amministrano e governo.
La cultura della Pentecoste è un modo spirituale di stare al mondo e di influire positivamente nella costruzione di una civiltà dell’amore e di una convivenza pacifica tra i popoli.
A questa causa, sollecitata oggi anche da Papa Francesco, ci siamo dedicati con tante iniziative, come stiamo facendo questa mattina. Siamo persuasi che il miracolo della Pentecoste, di una cultura della Pentecoste può avvenire se tutto ha inizio nella preghiera. E pregare non solo nel Cenacolo ma nelle piazze e in tutti i luoghi in cui è necessario invocare dal Cielo la riconciliazione, la giustizia, la pace.
Lo scorso anno, era appena scoppiata la guerra in Ucraina, organizzammo una Preghiera per l’Europa nel giorno della Festa della Divina Misericordia, a Roma, a Santo Spirito in Sassi, tempio mondiale della Divina Misericordia.
Quest’anno, in un mondo lacerato da guerre e conflitti (sono 57), vogliamo guardare al Medio Oriente, alla guerra in Ucraina, all’Europa cristiana.
Ancora qualche giorno fa, nel Messaggio Urbi et Orbi per la Pasqua, Papa Francesco ha voluto ricordare l’amato popolo ucraino e il popolo russo; la Siria che attende ancora la pace; i colpiti dal violento terremoto in Turchia e nella stessa Siria; la città di Gerusalemme, prima testimone della Risurrezione di Gesù; il dialogo tra Israeliani e Palestinesi, così che la pace regni nella Città Santa e in tutta la Regione; il Libano, ancora in cerca di stabilità e unità; il popolo della Tunisia, in particolare i giovani che stanno migrando senza sosta; Haiti, che sta soffrendo da diversi anni una grave crisi socio-politica e umanitaria; i processi di pace e riconciliazione in Etiopia e in Sud Sudan; le violenze nella Repubblica Democratica del Congo; il Nicaragua e l’Eritrea in cui i credenti sono perseguitati per la loro fede e non possono professarla; le vittime del terrorismo internazionale in Burkina Faso, Mali, Mozambico e Nigeria; il Myanmar e i martoriati Rohingya perché trovino giustizia.
Dunque, una Preghiera per la pace nel mondo, perché non possiamo delegare al Cielo la responsabilità di ciò che sta accadendo sulla terra e che passa proprio dal nostro coraggio di fare la pace, di far fare la pace.
Guardando alla croce di Gesà che attende di essere illuminata dalla luce della risurrezione, vogliamo dire che la pace è sempre possibile, ma la pace ha un costo, ha un prezzo da pagare. La pace non si fa gratis, reclama sacrificio, costa la rinuncia all’egemonia del potere, costa il prezzo della fraternità umana, il prezzo della scomposizione delle nostre idolatrie.
Per essere uomini di pace occorre stare nell’orizzonte di Dio. Di Gesù Cristo san Paolo scrive: “Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini” (Ef 2, 14-17).
E di qui il tema di oggi, così pieno di speranza: “Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore – progetti di pace e non di sventura… Mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il cuore… Cambierò in meglio la vostra sorte” (cf Ger 29, 11-14).
Uno degli scandali più grandi è avere politicizzato la pace; avere politicizzato le religioni che fanno un uso improprio della parola “pace”, senza Dio, contro Dio.
Se davvero i credenti, tutti coloro che si riconoscono dentro l’identità culturale e spirituale della fede cristiana, pregassero prima di aprire bocca, pregassero prima di apporre una firma su un trattato di guerra, pregassero prima di dare un comando da cui discende un male, pregassero prima di mettersi al lavoro per servire le istituzioni e il bene comune. Ma così non avviene e per questo noi siamo chiamati a pregare anche per chi dovrebbe e non lo fa!
Chi prega ha una diversa intelligenza della realtà e gode dell’eredità di una saggezza antica, quanto antica è la Parola di Dio: chi prega è realista, altruista, non fugge, non s’impaurisce dinanzi al male.
Noi siamo persuasi che gli uomini e le donne della preghiera sono la più grande riserva di speranza per questo nostro mondo. Sono gli uomini e le donne della preghiera gli ambasciatori dell’amore e della pace, che solcano la storia aprendola ai sentieri invisibili di Dio.
Lo ripeto da tanti anni e in ogni sede istituzionale: sono gli uomini e le donne della preghiera i veri difensori dei valori più autentici dell’umanità, perché è nella preghiera che la coscienza vuole il vero bene, la vera libertà e fa della terra un vero spazio di fraternità e di condivisione dell’amore.
E allora iniziamo.
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