Rinnovamento, dono per la Chiesa – Bruno Forte 

Un grande pensatore del ‘900, Martin Heidegger, diceva, riprendendo anche una tradizione della poesia tedesca, che “Denken ist danken: pensare è ringraziare”. È dunque in questo spirito di gratitudine che mons. Bruno Forte, arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto e presidente della Conferenza episcopale dell’Abruzzo-Molise, presenta la lettura teologico-spirituale del cammino dei quarant’anni di Rinnovamento nello Spirito Santo e cinquant’anni dell’azione pentecostale nel mondo»
Bruno Forte 

Quattro tappe nella storia del RnS 

Quale cammino di “vita nuova” a partire dall’effusione dello Spirito, vissuta nella Chiesa e sotto la guida dei Pastori voluti dal Signore, hanno percorso i credenti in Gesù Cristo, inseriti in comunità del Rinnovamento animate sacramentalmente e carismaticamente in questi quarant’anni, grazie ai ministeri di animazione e di evangelizzazione, nei diversi ambiti di formazione, per le missioni e a vantaggio dei poveri e dei sofferenti? Che cosa lo Spirito ha detto alla Chiesa, alla società civile del nostro Paese, del mondo, al cuore di ciascuno di noi attraverso i quarant’anni di cammino del Rinnovamento? 

È mia convinzione fondamentale che la vita secondo lo Spirito è sempre un passare “dall’implicito all’esplicito”: prima sperimenti l’azione di Dio in te e poi ci metti tutta la tua vita a capirne la luce, la forza, la bellezza.  

Quando incontro i cresimandi della mia diocesi, e ne incontro moltissimi, dico loro: «Carissimi ragazzi, giovani, io non sono un buon esempio per voi perché ho ricevuto la cresima quando avevo 7 anni, ma ho capito quello che mi era successo, con la cresima, a 17. Ci ho impiegato 10 anni». Eppure questa è l’azione dello Spirito. Lui opera in noi e noi dobbiamo entrare nel suo mistero, tematizzare quello che è avvenuto, prenderne coscienza.  

Per cogliere nei quarant’anni della storia del Rinnovamento il passaggio dall’implicito all’esplicito, ciò che lo Spirito è andato dicendo alla Chiesa e a ognuno di noi attraverso la vostra esperienza, è necessario costruire un ponte tra la riflessione orante e la vita personale di ciascuno attraverso quattro grandi arcate, quattro tappe, che sono come un tentativo progressivo di portare alla Parola che lo Spirito è andato dicendo nella storia del Rinnovamento.   

La prima tappa la intitolo: “Da corrente di grazia a movimento ecclesiale”; la seconda, “Dalla preghiera alla missione”;
la terza, “Dal cenacolo al mondo”; la quarta, “Dal ‘roveto ardente’ alla ‘colonna di fuoco’”. Quattro tappe che ho pensato e maturato con la luce della grazia e della preghiera nonché con il consiglio e l’aiuto degli amici del Rinnovamento nello Spirito. 

Da corrente di grazia a movimento ecclesiale 

Sappiamo che l’incontro del Dio vivente con la nostra condizione umana ha un nome, è Qualcuno, e si chiama “Signore Gesù”, “Gesù di Nazareth, Signore e Cristo”. Sappiamo anche però che questo incontro non è avvenuto soltanto 2000 anni fa, in quella terra benedetta e santa da Dio che è la terra dei patriarchi e dei profeti, ma si va compiendo, attualizzando sempre e di nuovo nella forza dello Spirito Santo fra il “già” di quella prima venuta e il “non ancora” del ritorno del Signore Gesù nella gloria. È lui, lo Spirito Santo, la memoria di Dio. È lui che rende presente nel tempo, come vera e propria corrente di grazia, il Signore Gesù. È lui il Signore che trasforma gli oggi della nostra vita nell’oggi di Dio. È lui che incessantemente tira il futuro della promessa di Dio nel presente di ieri.  

Lo Spirito Santo è il grande legame che unisce il passato, il presente e il futuro, la memoria del dono unico e incommensurabile della Pasqua di Gesù, la compagnia del nostro presente, la profezia della “Città celeste” verso la quale si muovono il nostro desiderio e la nostra attesa. Lo Spirito è la vivente memoria di Dio, ce l’ha detto Gesù: è lui che «vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14, 26c). È lui che «quando verrà vi guiderà alla verità tutta intera» (cf Gv 16, 13). 

Secondo la concezione biblica, la verità non è l’alétheia dei greci, parola che indica il toglimento del velo, lo svelamento di qualcosa che prima era nascosto. La verità, secondo i greci, è qualcosa che io vedo e possiedo. Nella concezione biblica la verità è l”emet ebraica, parola che significa “fedeltà”, e dunque essa non è un possesso, è un rapporto d’amore, è un incontro che ti segna il cuore e la vita, è qualcuno che tu non possiedi ma da cui devi lasciarti sempre più profondamente possedere. Essere innamorati di Dio, lasciarsi rapire il cuore da lui è la conoscenza della verità. Dunque con essa non si instaura un rapporto monistico, quasi egoistico di possesso, come fosse un oggetto, ma una relazione di fedeltà e di amore che si costruisce nelle opere e lungo i giorni della nostra vita. Anche il più piccolo, l’ultimo venuto può dunque dirti delle parole di Dio se il suo cuore è stato toccato dall’incontro di amore con Gesù, se lo Spirito ha realizzato in lui la “vita nuova” che soltanto da lui può venire.  

La centralità della parola di Dio 

Il primo strumento attraverso cui lo Spirito realizza la memoria di Dio, strumento a cui dovremmo sempre attenerci, è la Parola. Non bisogna mai dimenticare che la parola di Dio è Dio stesso, è la presenza viva del Dio vivente: «viva ed efficace, più tagliente di una spada a doppio taglio, che penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e del midollo, che scruta i sentimenti e i pensieri dell’uomo» (cf Eb 4, 12).  

La parola di Dio non arriva mai invano. Martin Lutero e i riformatori – quest’anno 2017 celebriamo il cinquecentesimo anniversario delle famose tesi sulle indulgenze, inizialmente scritte e inviate al vescovo Roberto per aiutare la Chiesa a rinnovarsi e purificarsi – dicevano: «Vere verbum Dei, si venit, venit contra sensum et votum nostro; in verità, se la parola di Dio arriva, arriva sconvolgendo la nostra sensatezza e il nostro desiderio». Essa non si lascia addomesticare, ci dice il profeta Isaia: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, così la mia parola non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (cf Is 55, 10-11).  

Ecco perché Karl Barth, uno dei grandi teologi del ‘900, diceva che «il cristiano deve fiducia e obbedienza, in vita come in morte, alla parola di Dio» e «tutta l’esistenza cristiana deve essere vissuta tenendo in una mano la Bibbia e nell’altra il giornale». Chiesi una volta a Giovanni XXIII chi fosse il più grande teologo del ‘900, e lui, uomo dal cuore buono, ecumenico, rispose che probabilmente era il teologo evangelico Karl Barth. Quando lo raccontarono a Barth, lui non esitò a rispondere: «Comincio a credere nell’infallibilità del Papa!».  

È dunque la parola di Dio la prima fonte dell’esistenza del credente, il primo luogo in cui lo Spirito entra in noi. È fondamentale amare la Parola, nutrirsi della Parola, vivere ogni giorno almeno un incontro intenso, umile e innamorato con il Dio che parla nelle sue parole.  

All’inizio del Rinnovamento carismatico cattolico c’è la grande primavera del Concilio vaticano II e in modo particolare c’è un testo breve e meraviglioso che s’intitola Dei Verbum, la Costituzione sulla divina rivelazione.  

Non ho alcun dubbio che il Rinnovamento nello Spirito nasce da questa riscoperta della centralità della parola di Dio nella vita della Chiesa. È la primavera del Concilio vaticano II che ci ha donato la meravigliosa esperienza di ritornare alla centralità della Parola. Pensiamo all’enorme lavoro biblico di questi anni: la traduzione dei testi biblici nella lingua di ogni giorno della nostra vita e il continuo riferimento alla parola di Dio; il RnS non promuove incontro in cui la Parola non abbia la centralità. 
Il mio ammiratissimo predecessore quale arcivescovo di Chieti-Vasto, mons. Loris Francesco Capovilla – andato in paradiso a 101 anni, non proprio giovanissimo, ma giovanissimo di cuore, dotato di una lucidità meravigliosa fino all’ultimo istante – un giorno in cui nel mio Sole24ore avevo parlato di Giovanni XXIII mi fece arrivare un sms, alla bellezza di 98 anni, in cui mi diceva: «Oggi il sole splende a pagina 1 e 12».  

Era stato da poco eletto Giovanni XXIII, e tornando in Vaticano dopo la visita a una parrocchia romana, il vecchio Papa dice al giovane segretario: «Oggi gli uomini si riuniscono per aggiornarsi, per fare il punto del loro cammino. Ci vorrebbe un aggiornamento anche per la Chiesa, ci vorrebbe un Concilio». Il buon Capovilla resta rigorosamente in silenzio. Due giorni dopo, a colazione, dopo la Messa del mattino, Papa Giovanni fa lo stesso discorso e Capovilla reagisce allo stesso modo, con il silenzio. Due giorni dopo ancora, dopo la Messa e l’adorazione, di nuovo Giovanni XXIII esprime a Capovilla il suo pensiero e di nuovo Capovilla rimane in silenzio. A quel punto il Papa, che era santo, buono, ma anche curioso, dice al suo segretario: «È la terza volta che ti parlo dell’idea di un Concilio e tu non mi dici niente, perché?». Capovilla risponde: «Perché lei mi ha insegnato, quando era segretario del vescovo Radini Tedeschi (un grande vescovo di Bergamo), che quando il vescovo diceva qualcosa con cui lei non era d’accordo, restava in silenzio». Allora Giovanni XXIII sorride e replica: «Lo so perché tu non sei d’accordo: vuoi troppo bene al Papa, ma sei poco umile, pensi che il Papa è vecchio e inizierà un Concilio che non potrà finire, facendo una brutta figura con la storia. Le cose però non si fanno per fare bella figura con la storia, ma per obbedire allo Spirito Santo». Questo è stato nel cuore di Giovanni XXIII il Concilio: un atto di obbedienza, di meraviglia e di sorpresa nello Spirito. Quello stesso Spirito che continua a parlare, tanto che la Dei verbum ha un’espressione di un’audacia straordinaria: al numero 8 dice che la Chiesa cresce nella conoscenza fino a che giungano a compimento le parole di Dio. La Chiesa non è una cittadella fortificata che custodisce la verità come uno scrigno, la Chiesa si lascia possedere, e lo fa attraverso l’ascolto della Parola, l’esperienza dello Spirito in comunità con i Pastori. 

La conferma di testimoni e maestri 

Ecco le grandi coordinate che hanno sostenuto il passaggio dell’esperienza del Rinnovamento nello Spirito da corrente di grazia, tocco dello Spirito a movimento ecclesiale.
Sono peraltro le parole con cui siete stati aiutati e confermati nel vostro cammino dal magistero dei Papi e dal magistero di grandi maestri, testimoni di cui bisogna custodire la memoria. Molti di loro venivano proprio, come Papa Francesco, dalla Compagnia di Gesù: Domenico Grasso, Tommaso Beck, Francis Sullivan, Antonio Baruffo, Giuseppe Bentivegna, Francesco Cultrera. Altri sono francescani che vi hanno aiutati e ancora vi aiutano: Raniero Cantalamessa e Augusto Drago, e consacrati appartenenti ad altre famiglie religiose, come il caro padre Mario Panciera, scj. Altri nomi da ricordare, di figure che ho conosciuto, a cui ho voluto bene e che mi hanno anche molto voluto bene, sono don Dino Foglio, padre Natale Merelli, padre Matteo la Grua, padre Serafino Falvo. A tutti costoro e a molti altri, tra cui innumerevoli laici, si deve il passaggio del Rinnovamento da corrente di grazia a movimento propriamente ecclesiale, passaggio ben riassunto da una parola di san Giovanni Paolo II, al quale ho avuto la grazia di esercitare gli ultimi esercizi spirituali della vita, gli ho rivolto 22 meditazioni alle quali è sopravvissuto, è morto l’anno seguente, ma non a causa dei miei esercizi. Papa  

Giovanni Paolo II, parlando al Comitato e Consiglio nazionale del Rinnovamento, diceva: «Siete un movimento ecclesiale» (Udienza privata al Comitato e Consiglio nazionale RnS, Città del Vaticano, 4 aprile 1998), e ancora: «Sì, il Rinnovamento nello Spirito può considerarsi un dono speciale dello Spirito Santo alla Chiesa in questo nostro tempo. Nato nella Chiesa e per la Chiesa il vostro è un movimento nel quale, alla luce del Vangelo, si fa esperienza dell’incontro vivo con Gesù, di fedeltà a Dio nella preghiera personale e comunitaria, di ascolto fiducioso della sua Parola, di riscoperta vitale dei sacramenti, ma anche di coraggio nelle prove e di speranza nelle tribolazioni. L’amore per la Chiesa e l’adesione al suo Magistero, in un cammino di maturazione ecclesiale sostenuto da una solida formazione permanente, sono segni evidenti del vostro impegno» (Udienza privata al Comitato e Consiglio nazionale, 14 marzo 2002). Ecco la meravigliosa consegna che vi faceva nel 2002 e ancor prima, nel ’98, san Giovanni Paolo II. 

È questa testimonianza a far capire come il primo dei quattro passaggi che segnano la storia del RnS sia stato come sigillato dall’approvazione della Chiesa attraverso il suo Pastore universale, ma anche tanti Pastori locali, e abbia sancito che ciò che era avvenuto nel cuore di tanti fra voi nella grazia dello Spirito, nell’incontro con la parola di Dio, si è andato realizzando come un dono nella Chiesa e per la Chiesa, un movimento ecclesiale, un cammino ecclesiale a servizio di questa Chiesa che tanto amiamo.  

Dalla preghiera alla missione 

Come succede che l’incontro personale con lo Spirito diventi poi un’urgenza missionaria, un bisogno di contagiare altri, di condividere con altri la bellezza di Dio? 

Un innamorato è sempre contagioso per cui chi è stato toccato dallo Spirito e si è innamorato di Dio non può non contagiare quello che ha ricevuto nel suo cuore, e questo è il secondo passaggio nella storia quarantennale del RnS: dalla preghiera alla missione. Se nel primo passaggio fondamentale è la centralità della parola di Dio, che nutre e raduna intorno al Signore Gesù nella forza dello Spirito chi crede, in questo secondo passaggio fondamentale è la centralità della liturgia.  

La centralità della liturgia 

La liturgia è il mistero proclamato, celebrato e vissuto in cui si offre un eccezionale valore di totalità. Diceva Dom Prosper Guéranger, uno dei grandi profeti liturgici che ha portato al rinnovamento liturgico della Chiesa e alla primavera del Vaticano II: «Nella liturgia, lo Spirito che ispirò le Scritture parla ancora; La liturgia è la Tradizione stessa nel suo più alto grado di potenza e di solennità». Nella liturgia noi impariamo il linguaggio della fede: lex orandi, lex credendi (il contenuto della preghiera è il contenuto della fede). In essa lo Spirito irrompe sempre di nuovo nella storia per rendervi presente l’azione efficace di Dio. Dalla liturgia nasce la preghiera personale; essa è culmen et fons, “culmine e fonte” e, valorizzata, ci fa scoprire la grande tradizione della fede, perché ricca del pensiero di innumerevoli testimoni, dai Padri della Chiesa ai grandi teologi spirituali di tutti i tempi, i quali, come scriveva il teologo Yves Congar, «non hanno cercato tanto di esercitare il proprio genio quanto di servire, esprimere, difendere e illustrare la fede comune».  

Da tali maestri e dalla liturgia ben celebrata, il Rinnovamento ha appreso l’amore al Signore Gesù, alla Chiesa, alla Sacra Scrittura, quell’amore che offre l’orizzonte unitario in cui la vita deve essere vissuta, e ha preso il gusto del simbolo che rispetta il mistero nell’atto stesso di avvertirne la prossimità. Accade così che gente semplice, priva di una formazione teologica, dalla liturgia, evento potente e trasformante di vita nuova, attinge la sapienza per dire “cose di vita”.  

Nella liturgia noi tutti facciamo l’esperienza bellissima che il pensatore medievale Pierre de Blois esprime dicendo che noi siamo come «nani sulle spalle dei giganti, grazie a loro vediamo più lontano di loro». I “giganti” sono i Padri della fede che ci hanno preceduto, i testimoni di Dio che nella storia della Chiesa hanno scrutato il mistero e ne hanno reso testimonianza; alla loro scuola nella liturgia impariamo a crescere. Così è stato nella storia del Rinnovamento e dei suoi gruppi, che da gruppi di preghiera sono andati sempre più maturando la passione di Dio e il desiderio di condividere la bellezza che aveva toccato e illuminato il loro cuore. È in questa strada che il Rinnovamento nello Spirito non si è chiuso in se stesso, in una sorta di “amor curvus, amore ricurvo” – i medievali dicevano che un amore ripiegato su se stesso è peccato -, e l’amore che ha accesso i cuori dei suoi membri è divenuto motivo di slancio, bisogno di missione, di servire gli altri, i poveri, gli ammalati, gli affamati, gli assetati, gli emarginati, i sofferenti, le donne calpestate, i bambini sfruttati, gli ultimi (cf Mt 25, 31 ss). 

Chi alla fame e sete di tutti costoro risponde con amore libero e liberante, diviene Vangelo vivente. Chi «prega nello Spirito Santo» (cf Gd 20) impara ad amare gli altri, diventa un
«combattente» (cf Ef 6, 10-18) nella fede che «non si dà riposo finché non risplenda la salvezza del Signore» (cf Is 62, 1). 

Proprio alla scuola della liturgia siete cresciuti in amore e avete imparato la bellissima preghiera di un autore medievale, che consegno ai membri del Rinnovamento come un dono di amicizia e che in qualche modo esprime il tocco di Dio nella vita liturgica: 
«Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani per fare il suo lavoro oggi; Cristo non ha piedi, ha soltanto i nostri piedi per andare agli uomini oggi; Cristo non ha labbra, ha soltanto le nostre labbra per annunciare il suo Vangelo oggi. Noi siamo l’unica Bibbia, che tutti gli uomini leggono ancora. Noi siamo l’ultimo appello di Dio, scritto in parole e in opere». 
San Giovanni Paolo II, in occasione della XXVII Convocazione nazionale del Rinnovamento, in una Lettera autografa scrive: «Essere testimoni delle ragioni dello Spirito: questa è la vostra missione, cari membri del Rinnovamento nello Spirito Santo, in una società dove spesso la ragione umana non sembra essere irrorata dalla sapienza che viene dall’Alto». 

Era il 2004, anno in cui Papa Wojtyla decise che io fossi vescovo. Quando andai da lui mi disse: «Voglio darle un popolo da portare a Dio», e io risposi: «Santità, allora preghi per me». E lui replicò: «Sì». Poi gli dissi: «Preghi anche per il popolo che mi ha affidato», e lui rispose: «Sì, sì, sì». Si vede che era più preoccupato per il popolo che per me!   

È importante ricordare che è lì, nel culmine e fonte dell’evento liturgico, che noi possiamo incontrare il Signore vivente. È lì che lui ci porta nel grembo della Trinità divina, è lì che lui ci restituisce al mondo come creature nuove, toccate, trasformate dallo Spirito, capaci di trasformare il mondo. Soltanto attraverso donne e uomini toccati da Dio, innamorati di Dio, egli potrà far ritorno in questo mondo. 

Diceva Joseph Ratzinger, nell’ultimo discorso prima di diventare Papa: «Che il Signore ci dia la grazia di vivere il tocco di Dio, l’incontro che cambia il cuore e la vita». 

Dal Cenacolo al mondo 

La terza tappa che segna i primi quarant’anni del Rinnovamento è quella del passaggio dal cenacolo al mondo. 

Il luogo privilegiato dello Spirito è e resta la Chiesa; noi amiamo la Chiesa, che è nostra madre, e la vogliamo bella come vorremmo bella nostra madre, e la vediamo bella anche nell’ora del dolore o dell’ultimo addio. La Chiesa è la madre, la sposa bella del Signore, il sacramento di Cristo e sacramento di Dio. Ce lo ricorda Paolo: «Come potranno credere senza averne sentito parlare? Come potranno sentirne parlare senza qualcuno che lo annunzia? Come lo annunzieranno senza prima essere inviati?» (cf Rm 10, 14b-15a). 

Di testimone in testimone, attraverso la vita della Chiesa, la vivente comunione apostolica, la Parola della salvezza, l’incontro che cambia la vita ci raggiunge e ci tocca. La Chiesa è la visibilità sacramentale dell’azione dello Spirito nella storia, carica di tutta la luce che egli le dona ma anche dell’oscurità e delle pesantezze che caratterizzano la vita dei suoi figli. 
Quando Giovanni Paolo II chiese perdono per tutte le colpe dei figli della Chiesa nella storia, fui chiamato dal cardinale Ratzinger a presiedere la Commissione che scrisse il famoso documento “Memoria e riconciliazione” sulla purificazione della memoria e la richiesta di perdono. Al termine di un incontro della Commissione con il Santo Padre – eravamo una piccola comunità di 7 teologi provenienti da tutto il mondo – il Papa guardando me che ero il presidente della Commissione e dunque ne avevo diretta responsabilità, dice: «Coraggio, abbiate coraggio. La verità ci farà liberi».  

La Chiesa non è una prigione, è la casa della libertà e della giustizia di Dio. Il patriarca Sako, a cui voglio un gran bene da tanti anni e di cui conosco la fede e la testimonianza, guardando il popolo del Rinnovamento che pregava e cantava durante la Convocazione nazionale, mi diceva: «Guardi! Questa è la comunità dei figli di Dio che tante volte noi non riusciamo a vedere nei nostri fratelli musulmani». Lo diceva con molto rispetto per gli islamici, ma anche sottolineando una profonda verità. Nell’Islam tutto è scritto da sempre, non esiste libertà. Noi abbiamo invece la libertà dei figli di Dio ed è in essa che la nostra vita di uomini e donne deve diventare una vita che dal Cenacolo continuamente va verso il mondo.  

Il discernimento 

Gli eventi della storia abitati dallo Spirito, che parla al suo popolo, sono “segni del tempo”. Ricordiamo sempre, come dice il Concilio, che «È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi» (Gaudium et Spes, n. 4). Noi non viviamo con gli occhi chiusi e le orecchie tappate, il nostro cuore batte con il cuore della storia. Noi siamo uomini e donne del nostro tempo; dobbiamo vivere la fedeltà alla storia per vivere la fedeltà a Dio, e soltanto dove le due fedeltà vengono coniugate passa il soffio del Vangelo. Lo Spirito si rende presente e cambia il cuore e la vita: questa è l’avventura meravigliosa del cristiano, che non ha paura della storia ma vi si immette come “lievito” nella massa, cercando di scrutare i “segni del tempo” e di evitare ogni fuga ed evasione consolatoria. 

Un’accusa che viene spesso fatta ai membri del Rinnovamento nello Spirito è di essere degli spiritualisti, cioè uomini e donne che vivono in un mondo che non esiste, il mondo delle illusioni, delle esaltazioni, in una sorta di fuga dalla realtà. Può sostenere questo chi non conosce il Signore Gesù e la sua Parola o la forza dell’Eucaristia. 
Chi vive il Rinnovamento non può essere, per obbedienza a Cristo e al soffio dello Spirito che soffia dove vuole, imprigionato nelle sue presunte sicurezze, ma deve essere un testimone di Dio che dal cenacolo guarda continuamente alla storia ed entra nella storia per portarvi la novità di Dio. E ciò lo si fa attraverso il discernimento, parola meravigliosa della tradizione spirituale che implica tre compiti: l’assunzione della complessità, il confronto con la Parolal’indicazione di vie provvisorie e credibili. 

Il cristiano assume la complessità. Noi non chiudiamo gli occhi di fronte alle difficoltà della storia e alle sofferenze; non facciamo finta che il male non esista ma guardiamo in faccia alla realtà. Chi assume la complessità e se ne fa carico, anche dolorosamente – perché è doloroso guardare in faccia il dolore del mondo – è fedele a quel Dio che in questa storia si rende presente. 
Il patriarca Sako non è fuggito dalla sua gente, dalla sua terra. Vive lì, e nel colloquio che abbiamo avuto in occasione della Convocazione RnS mi ha fatto l’elenco di quanti sono morti martiri in questi anni, sacerdoti e laici, per testimoniare l’amore di Gesù. Il cristiano assume con lucidità la complessità dell’esistenza, sa che deve portare la croce con il Signore Gesù, ma questa complessità la confronta continuamente con la parola di Dio, dove cerca luce, conforto, sostegno. Solo chi sa leggere la storia nel Vangelo saprà leggere il Vangelo nella storia. Solo chi saprà coniugare le due fedeltà, sarà essere testimone di Gesù nella libertà e nella novità del tempo che è chiamato a vivere.  

Assumere dunque la complessità, leggerla nella luce della parola di Dio e dunque nella fede, è avanzare con coraggio e umiltà proposte provvisorie e credibili, come dire: non rimanere spettatori della storia ma diventarne protagonisti, sporcarsi le mani perché il mondo cambi, perché la società diventi più giusta e più bella.  

L’impegno sociale 

Un altro straordinario testimone che ha voluto bene al Rinnovamento è stato Paolo VI, che porto sempre nel mio cuore perché è stato il Papa degli anni della mia vocazione, della mia formazione. Non dimenticherò mai l’incontro che il mio amatissimo vescovo, il cardinale Ursi di cui porto la croce, ci consentì di avere con lui. Paolo VI, nella prima udienza accordata ai carismatici cattolici nella Basilica di San Pietro, il lunedì 19 maggio seguente la solennità di Pentecoste del 1975, dice: «Abbiamo dimenticato lo Spirito Santo? No, certo! Noi lo vogliamo, lo onoriamo, lo amiamo, lo invochiamo; e voi, con la vostra devozione, con il vostro fervore, voi volete vivere nello Spirito. Questo deve essere un “rinnovamento”. Deve ringiovanire il mondo, deve ridare una spiritualità, un’anima, un pensiero religioso al mondo, deve riaprire le labbra chiuse alla preghiera e aprire al canto, alla gioia, all’inno, alla testimonianza e sarà veramente una grande “chance” per il nostro tempo, per i nostri fratelli, che ci sia una generazione di giovani che grida al mondo le glorie e le grandezze di Dio nella Pentecoste». 

È veramente un messaggio di fiducia e di speranza. Paolo VI affidava al Rinnovamento un compito, e anche se i giovani di allora, io ero uno di loro, non lo sono più da tanti anni, il nostro cuore resta pieno di gioia, perché la gioia e la giovinezza ci vengono dal dono dello Spirito Santo. 

Come non ricordare, poi, le parole al Rinnovamento di Papa Benedetto XVI, con il quale ho un rapporto speciale non solo perché per dieci anni è stato il presidente della Commissione teologica internazionale di cui facevo parte, ma perché è stato il primo dei vescovi consacranti che mi ha consacrato vescovo. Quando Giovanni Paolo mi chiamò, infatti – mi aveva chiesto di potermi ordinare lui ma non poteva perché era malato – mi disse: «Lo chieda al cardinale Ratzinger, so che lei è nella Commissione teologica internazionale e lui le dirà di sì». Ratzinger subito mi disse di sì e venne a Napoli per ordinarmi vescovo.  

Papa Benedetto, la cui grandezza teologica e spirituale non finiremo di scoprire perché è veramente un patrimonio per tutta la Chiesa, così parlava al Rinnovamento: «Cari amici, continuate a testimoniare la gioia della fede in Cristo, la bellezza di essere discepoli di Cristo, la potenza d’amore che il suo Vangelo sprigiona nella storia… l’esercizio utile e disinteressato dei carismi… sempre utilizzati per il bene comune» (Udienza speciale al Rinnovamento nello Spirito, Piazza San Pietro, 26 maggio 2012).  

E ancora, Papa Francesco: «Uscite nelle strade a evangelizzare, annunciando il Vangelo. Ricordate che la Chiesa è nata “in uscita” la mattina di Pentecoste. Avvicinatevi ai poveri e toccate nella loro carne la carne ferita di Gesù. Lasciatevi guidare dallo Spirito Santo, con libertà» (37ª Convocazione nazionale RnS, Stadio Olimpico, 1 giugno 2014) In questa esortazione è riassunto il passaggio dal cenacolo al mondo.    

Dal “roveto ardente” alla “colonna di fuoco” 

L’ultima tappa è quella dal “roveto ardente” alla “colonna di fuoco”. In questo lungo tempo la parola di Dio, la liturgia, la comunione con la Chiesa e con i suoi Pastori hanno aiutato il RnS a fare dei passi progressivi di presa di coscienza del meraviglioso dono di Dio che cambia il cuore e la vita; come un innamorato che deve rendersi conto di quanto ciò che gli è avvenuto ha cambiato il suo cuore e la sua vita, così è la storia dei quarant’anni del vostro cammino che, riassunto in una formula, potremmo dire è stato un passaggio progressivo dal “roveto ardente” alla “colonna di fuoco”. 

Il cammino di un popolo  

Lo Spirito rende presente il mistero dell’avvento compiutosi nel Signore Gesù nell’oggi dei credenti (roveto ardente); a questo proposito c’è una meravigliosa riflessione di uno dei Padri della Chiesa: «Perché Dio ha voluto rivelarsi proprio in un roveto? Perché nel roveto ci sono le spine, e Dio ci parla sempre attraverso il dolore». È un’immagine di una potenza straordinaria. Noi adoriamo un Dio crocifisso, ma quel Dio crocifisso era stato preannunciato da quel roveto ardente: Dio parla nel fuoco e nelle spine. 
Poi però l’esperienza del roveto diventa esperienza della “colonna di fuoco” che guida il popolo nel deserto. Non è più la solitudine di Mosè, è l’esperienza di un popolo, è un cammino comune che guida verso la terra promessa di Dio. Ecco allora il grande passaggio:  

Nel Rinnovamento non si vive solo un’esperienza personale dello Spirito, ma grazie a questa progressiva maturazione che mette al centro la parola di Dio, la liturgia e la comunione della Chiesa e dei Pastori nonché la passione missionaria, sempre più si diventa popolo dei pellegrini di Dio che camminano verso la “Città celeste”. Questa è la grande eredità che riceviamo dal popolo della fede di Israele. 

Io ho la grazia, da diversi anni, di essere membro della Commissione mista del Consiglio internazionale del dialogo ufficiale tra la Chiesa cattolica e il Grande Rabbinato di Israele: imparo molto dai sette rabbini capo di Israele con cui ogni anno ci incontriamo.  

Una volta – spesso mi chiedono di fare l’introductory speech, la riflessione introduttiva – ho parlato di Mosè testimone di Dio a un popolo in cammino verso la terra promessa. A un certo punto vedo un paio di rabbini capo di Israele di fronte a me che cominciano a piangere a calde lacrime. Un po’ spaventato mi chiedo che cosa avessi detto e con grande semplicità domando perché piangessero. Uno dei due risponde: «Perché sentiamo un cristiano che parla con così tanto amore del nostro Mosè». 
Noi non ameremo Gesù se non ameremo la fede di Israele. Non si può essere cristiani senza la fede dei patriarchi e dei profeti, senza la fede di Gesù, senza la fede di Maria. Questo è anche il grande dono del pellegrinaggio in Terra Santa, che il Rinnovamento periodicamente promuove per conoscere la terra di Gesù. 
Quello che è avvenuto a Mosè e al popolo ebraico deve avvenire in noi: da esperienza di un incontro personale con Dio, che parla nel fuoco e nelle spine del roveto, a esperienza di un popolo che cammina unito nel deserto, attraverso il mare, verso la terra promessa da Dio, continuamente guidato dal Signore.  

Un racconto rabbinico spiega così il passaggio del Mar Rosso: «Mosè riceve da Dio il comando di andare a battere il mare per aprilo. Va al mare, lo batte ma il mare non si apre, allora Mosè dice al mare: “Ti devi aprire, io sono venuto a dirtelo”. E il mare risponde: “Chi sei tu? Sono più vecchio di te, sono stato creato sin dalle origini del mondo; tu sei nato da poco e ti permetti di comandarmi?”. Mosè ci pensa e dice tra sé: “È vero, il mare è vecchio e io sono giovane”. Torna dal Signore e si sfoga: “Signore, il mare non mi vuole obbedire. Cosa devo fare?”. “Torna dal mare, battilo e digli che sono io che ti mando”. Mosè ritorna, lo batte e dice: “È il Signore che me l’ha detto”. E il mare obbedisce».  

È la forza della fede che ci trasforma da uomini e donne del “roveto ardente” in “colonna di fuoco”, popolo che cammina guidato dalla presenza di Dio nella complessità della storia.
A questo proposito c’è una triplice condizione che dobbiamo realizzare. 
La consapevolezza della nostra relatività 

La prima condizione da realizzare è la consapevolezza della nostra relatività; se noi abbiamo conosciuto Dio nel “roveto ardente” e lo seguiamo nel cammino del popolo santo guidato dalla “colonna di fuoco”, sappiamo di essere una piccola cosa nella storia. Non siamo una potenza, una forza umana, ma un popolo di piccoli, di poveri: questo non deve spaventarci né deve illuderci l’idea di essere arrivati. L’”estasi dell’adempimento” è una tentazione da fuggire sempre; siamo il popolo dei pellegrini di Dio, e questo ci rende liberi: non siamo legati a un potere di questo mondo, siamo innamorati del Dio che ha toccato il nostro cuore e guidati dal suo Spirito. 

La consapevolezza del nostro niente è la nostra forza se essa si traduce nell’incondizionata fiducia della potenza dello Spirito, della croce di Cristo.  

La libertà di relativizzare le grandezze del mondo 

Accanto alla consapevolezza della nostra relatività, deve esserci la libertà di relativizzare le grandezze del mondo.  

Il cristiano non è mai chi fa da supporto al potere, e chi lo fa sta tradendo il Vangelo di Gesù. Il cristiano è un uomo libero, una donna libera, che annuncia il primato di Dio senza paura. 
Noi dobbiamo essere testimoni coraggiosi del primato di Dio, relativizzando le grandezze di questo mondo. Nella forza dello Spirito che la anima, la Chiesa – e il Rinnovamento in essa – dovrà essere critica e sovversiva verso tutte le miopi realizzazioni delle speranze di questo mondo; presente in ogni situazione umana, solidale con i poveri e gli oppressi. Non le sarà lecito identificare la sua speranza con nessuna delle speranze della storia. Il Rinnovamento dovrà mettersi al servizio di questa vigilanza critica, puntando solo e sempre a seguire la “colonna di fuoco”, e cioè la promessa di Dio, la forza della sua presenza in mezzo a noi e davanti a noi. 

La testimonianza della gioia 

Infine, chi vive questa esperienza dovrà anticipare nella propria vita qualcosa della futura promessa, bellezza di Dio, ed essere testimone della gioia che nasce dal sapersi amati da lui, essere testimone del desiderio. La parola “desiderio” viene dal latino sidera, “stelle”; chi guarda le stelle e vuole tendere verso il cielo attira a sé in qualche modo la bellezza di Dio. 
Il cristiano anticipa nella sua vita la promessa di Dio e lo fa con la sua gioia contagiosa, con la sua libertà, anche nell’ora del dolore. Tutto questo lo compie in noi solo lo Spirito Santo. È lui la forza dei poveri, il consolatore, il paraclito, che chiamato come “avvocato” viene presso di noi e ci rende forti anche nella prova, facendoci vivere la gioia di chi dice: «Andremo alla Casa del Signore!» (Sal 122, 1b).  

A noi il compito di vivere il mistero dell’Avvento nel cuore della vicenda umana, relativizzando noi stessi e le grandezze del mondo, ma anticipando la bellezza di Dio con «lo Spirito che grida insieme alla Sposa: “Vieni!”, e il Signore risponde: “Sì, vengo presto”» (cf Ap 22, 17a.20a). 

Un Padre della Chiesa, che è anche mio amico perché l’ho tanto studiato, vissuto molti secoli fa, Cirillo d’Alessandria, scrive un inno alla morte della Chiesa: «Intoniamo il canto di lode per la morte della Chiesa… morte che ci introduce in un’altra vita, dalla debolezza ci conduce alla forza, dal disprezzo all’onore, dalla corruzione all’immortalità, dalla finitezza del tempo all’eternità della vita divina». Egli non canta la fine terrena della Chiesa, ma spiega che la Chiesa è profezia del Regno e seme della patria futura, che noi siamo soltanto immagine della bellezza promessa da Dio.  

Quando sarà passato il tempo di questo mondo e Dio «sarà tutto in tutti» (cf 1 Cor 15, 28) e il mondo intero sarà la patria di Dio, anche la Chiesa sarà semplicemente il Regno. Sarà morta come realtà terrena ma nata nella bellezza infinita del cielo alla quale noi tendiamo.  

Anche al Rinnovamento compete questo destino; perciò, celebrare la 40ª Convocazione nazionale nel Giubileo d’Oro del Rinnovamento nel mondo non è motivo di trionfalismo o di vanagloria, ma rinnovata coscienza dei doni ricevuti, impegno per metterli al servizio di tutti, rinnovata obbedienza alla Chiesa e ai Pastori, amore nuovo alla parola di Dio e alla liturgia, disponibilità a pagare il prezzo dell’amore nell’umiltà delle opere e dei giorni che a ciascuno potranno toccare.  

È quanto augurava già san Giovanni Paolo II al RnS: «Auspico di cuore che il Rinnovamento nello Spirito sia nella Chiesa una vera palestra di preghiera, di ascesi, di virtù e di santità. Nel nostro tempo, avido di speranza, fate conoscere e amare lo Spirito Santo. Aiuterete allora a far sì che prenda forma quella cultura della Pentecoste, che sola può fecondare la civiltà dell’amore e della convivenza tra i popoli. Con fervente insistenza, non stancatevi di invocare: Vieni, o Santo Spirito! Vieni! Vieni!» (Udienza privata al responsabili del RnS, Sala privata, 14 marzo 2002).  

Andate avanti nel cammino della storia, nel cammino della vita di ciascuno di voi fiduciosi nel dono dello Spirito.  

 

 

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