Il martirio è un impegno di amore – Louis Raphaël I Sako

Louis Raphaël I SakoArcieparca Metropolita di Baghdad dei caldei e Patriarca di Babilonia dei caldei, parla di martirio, una realtà concretissima nei paesi del Medio Oriente. Il Patriarca, definendo «straordinario» il movimento del RnS, sottolinea il senso del perdono e della riconciliazione: «Chi perdona – dice – è più forte di chi si vendica». 

Louis Raphaël I Sako 

C’è un avvenire da costruire insieme 

Il brano del Vangelo del giorno (cf 4, 14-22) fa parte del capitolo 4 di Luca che segna l’inaugurazione dell’opera messianica e contiene alcuni punti importanti da meditare nella vita di Gesù, ma anche nella nostra vita come sacerdoti, come Chiesa, come Rinnovamento nello Spirito, che è un movimento straordinario.  

Guidato dallo Spirito Santo, «Gesù ritornò nella Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione; Gesù insegnava e tutti lo lodavano, poi si recò a Nazareth, dove era stato allevato, a casa sua» (cf Lc 4, 14-16) 

Questo brano di Isaia è stato scritto da un profeta sacerdote della ricostruzione di Gerusalemme e del tempio (ogni prete deve essere anche prete profeta; se rimane solo sacerdote la sua è una carriera mentre il sacerdote profeta dà senso, dà vita, dà spirito alla liturgia e al suo servizio). Si chiama il Terzo Isaia, profeta vissuto dopo la fine dell’esilio babilonese, dunque da noi, in Iraq, vicino a Baghdad. Egli inaugura il nuovo tempio in Gerusalemme che è in via di ricostruzione e si presenta come consacrato dallo Spirito e inviato per compiere quest’opera.  

Sento particolarmente mio questo brano perché vengo da Mosul, dalla piana di NiniveIsis Daesh ha occupato tutta la regione e cacciato i cristiani e non solo. Io sono andato quattro volte là per dire: «Questa terra è nostra, non deve essere occupata da altri». La zona è stata in gran parte liberata; abbiamo raccolto fondi dal patriarcato e dalla diocesi e incoraggiato la gente a tornare. Ora, ad esempio a Teleskop, vivono quattrocento famiglie con il loro parroco, e quest’anno hanno celebrato la Pasqua nel loro villaggio. Anche in altre città e a Mosul sono tornate alcune famiglie. Dunque, c’è speranza e c’è un avvenire, non un futuro magico, già pronto, ma un futuro che possiamo costruire insieme. 

Ricostruzione per noi è Gesù  

Ricostruzione e consolazione per noi è Gesù, il Risorto, che legge il testo antico di Isaia che parlava di ricostruzione, di consolazione degli afflitti, cioè degli esiliati, oppressi, umiliati, demoralizzati che aspettavano un intervento di Dio come noi oggi in Iraq, in Siria, ma anche in Italia, in Europa: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione» (Lc 4, 18a). È lo Spirito che consacra. Nella nostra liturgia, che è diversa da quella latina, abbiamo solo l’epiclesi: è lo Spirito che cambia il pane e il vino in corpo di Cristo e prepara la Risurrezione. Alla fine questo pane e questo vino diventano il corpo di Cristo perché noi, con la comunione, possiamo essere il vero corpo di Cristo.  

Lo Spirito del Signore significa tutti i doni dello Spirito Santo che abbiamo sperimentato nell’ambito della Convocazione RnS, necessari per compiere questo servizio per il bene di tutti, soprattutto dei fratelli oppressi fisicamente, economicamente, socialmente, religiosamente e che sperano di poter riavere la loro dignità.  

Alla Chiesa e ai cristiani sono state date queste benedizioni nel battesimo e nella cresima. Noi però riceviamo lo Spirito Santo non solo una volta, ma ogni volta che riceviamo la comunione. Ogni volta che celebriamo un sacramento c’è una grazia di stato, si dice nella teologia; per questo i cristiani sono invitati ad annunciare la giustizia e a denunciare l’ignoranza, la povertà, le malattie, la disoccupazione, a difendere la libertà e la dignità delle persone. Questo è quello che il nostro mondo deve capire, soprattutto il nostro mondo orientale. L’Anno giubilare è un progetto per permettere a tutti di ricevere la grazia della riconciliazione e del perdono. Io, in Iraq, cerco sempre di parlare con i nostri musulmani di perdono, di riconciliazione. Chi perdona è più forte di chi si vendica! Il perdono, la riconciliazione sono molto importanti per la convivenza pacifica, armonica.  

Gesù stesso legge le Scritture e le applica a sé; sta facendo un lavoro di Lectio divina, sta aiutando gli ascoltatori ad applicare e attualizzare questo testo antico. Luca riporta questo esempio di Lectio divina per dire alla sua gente qual è la strada da percorrere per conoscere la Scrittura. L’Evangelista sta dicendo anche a noi oggi – ai patriarchi, ai vescovi, al Papa e a tutti, non solo ai laici fedeli – che questa è la strada, è il modo comune e corretto per incontrare il Signore e ascoltarlo. 
Come avere un rapporto d’amore con qualcuno che noi non abbiamo incontrato? Sarebbe un rapporto freddo, senza vita, qualcosa di ereditario, non personale. Se non c’è un incontro personalizzato, come si può credere? 

Domenica 23 aprile era la domenica di Tommaso, il nostro apostolo: lui vuole sperimentare Gesù, e una volta in ginocchio esclama«Signore mio e Dio mio!» (Gv 20, 28). Noi dobbiamo fare lo stesso! L’atteggiamento di Tommaso non è peggiorativo, è molto positivo. Dobbiamo imparare anche da lui.

La missione è per tutti 

«Poi, arrotolato il volume, lo restituì al servitore e si sedette. Tutti coloro che erano presenti nella sinagoga tenevano gli occhi fissi su di lui» (cf Lc 4, 20)Da queste righe si coglie che c‘è ammirazione nei confronti di Gesù. Se non ammiri qualcosa, non c’è vita. Se tutto è quotidiano, è normale, è routine, non c’è vita. 

Allora Gesù cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura per voi che mi ascoltate» (cf v. 21). “Oggi” è un avverbio di tempo importante che a Luca piace particolarmente e lo adopera diverse volte nel suo Vangelo. Ai pastori, a Natale, l’angelo dice«Oggi è nato per voi un Salvatore» (Lc 2, 11), e al ladro crocifisso insieme a lui, Gesù promette: «Oggi sarai con me in paradiso» (cf Lc 23, 43). L’attualità di Dio è oggi e non domani, e voi del movimento del Rinnovamento, forse, sentite meglio degli altri la forza dell'”oggi” di Dio. 

Questo oggi è l’inizio di una nuova era, una rivoluzione in tutti i sensi della Parola; Dio è il nostro Dio, il Dio dei cristiani, e ci sorprende.  

Due anni fa ho preso l’aereo da Istanbul per andare a Lione, in Francia. Si è seduto accanto a me un anziano turco, poi è arrivata la moglie, un po’ ammalata, e io l’ho aiutata a sedersi. Imusulmano ha visto il mio colletto e mi ha detto in francese: «Lei è Gesù». Io ho risposto: «No! Non sono Gesù, io sono il suo servo». Lui ha detto ancora«Allahu Akbar, Dio è grande». Io ho replicato dicendo che Dio è piccolo; è diventato piccolo per noi perché noi diventassimo grandi. Alle mie parole l’uomo non ha risposto niente: non poteva rispondere.  

Luca ci insegna a entrare nel testo, a capire che questa Parola parla a noi oggi, in questo momento e in questa situazione.  

Poi c’è una missione: egli ha capito la propria missione meditando le Scritture. Questo è un aspetto molto importante, al quale forse non pensiamo, ma ognuno di noi è inviato, non solo i preti, anche i fedeli.  

Maria, Pietro, la Samaritana vanno e parlano della loro esperienza. Talvolta noi abbiamo vergogna di parlare della nostra fede, e questa è una mancanza, soprattutto in Occidente. Noi abbiamo il coraggio di dire: «Siamo cristiani!». Anche voi dovete dire la vostra fede, non abbiate paura!  

La buona notizia, la parola “Vangelo” c’è già nel testo di Isaia, una parola – “evangelizzare” – che Gesù e gli apostoli hanno preso in prestito da questo autore. Gesù ha capito che la sua missione era evangelizzare i poveri, ovvero «proclamare la liberazione ai prigionieri, dare la vista ai ciechi e liberare gli oppressi» (cf Lc 4, 18)  

La gente di Mosul è liberata. Sono andato lì ad aiutare i profughi. Erano in un campo ventinove rifugiati musulmani, ho portato loro medicine, latte, ma anche cibo per quattromila famiglie. Ho detto loro«Io, cristiano, vengo da Baghdad, da Mosul, per dirvi che noi siamo fratelli, per mostrarvi solidarietà e vicinanza. Gli infedeli non siamo noi, noi crediamo in un solo Dio, noi e voi abbiamo sofferto a causa dei miliziani del Daesh, sono loro gli infedeli».  

Pronti al martirio 

È necessaria una testimonianza personale; dice il Vangelo: «Tutti gli rendevano testimonianza ed erano stupiti per le parole piene di grazia che pronunciava» (cf Lc 4, 22) 

Noi cristiani d’Oriente stiamo vivendo questa testimonianza con il sangue dei nostri martiri – la nostra Chiesa è la Chiesa dei martiri – i quali hanno dato la vita perché gli altri li hanno considerati diversi. Ci dicono sempre: «Voi siete diversi, non siete come noi». Questa è la testimonianza evangelica. In quanto minoranza, siamo continuamente di fronte alle difficoltà e ai sacrifici, ma siamo coscienti che essere cristiano non è una scelta facile e vuol dire “incorporarsi in Cristo per essere suo testimone. Ciò significa, se necessario, il martirio. Sempre i giornalisti mi chiedono se ho paura. Io rispondo di no: «Non ho mai avuto paura, sono pronto. Il consacrato è uno che ama e ha dato tutto, senza condizione, senza esitazione. Io ho dato tutto e sono pronto per tutto».  

Il martirio non è un’ideologia o uno scopo, come pensano i jihadisti musulmani, ma è un impegno di amore in cui tutto l’essere umano è preso. Non è una cosa automatica o superficialeil martirio è una realtà vissuta nella vita quotidiana.  

Io ho avuto due seminaristi a Baghdad, giovani preti nel 2010 – avevano studiato a Roma -, uccisi da jihadisti che avevano bussato alla porta della Cattedrale. I sacerdoti li avevano pregati di uccidere loro e di lasciare andare i fedeli. Così è stato: furono immediatamente assassinati. Questi preti sono un esempio. Se c’è un prete cattivo, non importa, ci sono preti martiri che rappresentano un modello. media purtroppo non parlano di tali esempi, ma anche altri preti, diaconi e sotto-diaconi, sono stati uccisi per la loro fede: il martirio è dunque una realtà vissuta nella vita quotidiana.  

Nelle Lodi di Salomone, un Autore siriaco del secondo terzo secolo ha detto: «Io amo perché nell’amore trovo conforto. Mi incorporo a colui che amo; perché lui è vivo, anche io vivo». Questo vuol dire “esperienza mistica”: ogni giorno prendo qualcosa di Gesù e lo metto su di me per essere trasformato in lui. Se lui è risorto, se lui è immortale, piano piano anche io sarò immortale.  

In Iraq si capisce che la fede, come ha detto Papa Francesco nell’Udienza del 19 aprile, «non è una questione ideologica o una speculazione filosofica, ma un cammino», e io direi «una realtà mistica». La fede è un incontro personale con Cristo che ci conosce e ci ama, a lui ci diamo totalmente. Nell’amare – e nell’ambito della Convocazione abbiamo ascoltato molte esperienze in proposito – non c’è logica. Credere è conoscere, amare è vivere e condividere. Il profeta Geremia prega«Mi ha sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre“» (20, 7a). La fede è il nostro DNA.  

 

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